Via libera dal Tar del Lazio all’istituzione dell’area contigua del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise (Pnalm). I giudici amministrativi, adottando un’interpretazione letterale della legge, hanno stabilito che i Comuni non hanno alcun diritto di parola in merito alla definizione dei confini della zona “aggiuntiva” all’area tutelata.
In pochi anni, il Pnalm ha così quasi ‘raddoppiato’ la propria superficie, acquisendo diritti e controllo di un’ampia fascia, ma la cosa sorprendente è che l’ampliamento non ha nulla a che fare – lo dice la regione Lazio! – con la protezione dell’orso bruno simbolo del Parco.
Con l’istituzione dell’area contigua anche nel Lazio (in Molise c’era stata nel 2008 e in Abruzzo nel 2018) il Pnalm è riuscito quasi a duplicare la propria superficie e, con quella, incrementare il gettito di risorse economiche di cui è destinatario. Il tutto, però, come lamentano i sindaci dei comuni di San Biagio Saracinisco, Picinisco e Vallerotonda, spesso a spese delle comunità locali che si vedono depauperate di terreni, diritti, opportunità di sviluppo e lavoro. A tutto ciò l’ente naturalistico e le Regioni interessate (che hanno emesso le delibere di perimetrazione dell’area contigua) replicano che ora si passerà alla fase di concertazione con gli enti locali per pianificare e programmare lo sviluppo dei (nuovi) territori inglobati.
I tre comuni del versante Laziale, infatti, erano insorti davanti al Tar di Latina contro le due delibere della giunta Zingaretti con cui una zona di oltre 14.000 ettari è stata ricompresa nella cosiddetta ‘area contigua’ che, secondo la norma, rappresenta una fascia di territorio adiacente all’area protetta in cui è vietata la caccia ai non residenti e in cui l’ente parco, per particolari esigenze, può disporre ulteriori divieti e limitazioni e su cui comunque opera il controllo delle attività antropiche.
I tre Municipi hanno lamentato la mancata intesa sulla decisione con gli enti locali interessati e una serie di violazioni alle stesse normative ambientali e ai piani di protezione dell’orso bruno marsicano. Nel Lazio, l’area contigua coinvolge, oltre ai tre comuni detti, anche quelli di Alvito, Campoli Appennino, Pescosolido, San Donato Val di Comino e Settefrati, oltre alla Comunità montana di Atina e alla Provincia. Enti locali, tutti questi, che non hanno voluto sostenere il ricorso dopo aver ottenuto da Regione e Parco un parziale indietreggiamento degli originari confini proposti dell’area contestata, riuscendo così a liberare dai vincoli terreni ed aree produttive e abitate. La voglia di tutela del Parco, infatti, aveva finito per sottoporre a protezione ambientale persino… i cimiteri!
Come accennato, i giudici amministrativi – attenendosi al tenore letterale della norma – hanno ritenuto infondato il ricorso dei tre sindaci poiché la legge quadro sulle aree protette prevede che i comuni siano coinvolti solo nella fase di programmazione degli interventi sulle aree contigue, mentre la perimetrazione delle stesse sarebbe riservata ‘solo’ a Regione e Pnalm.
Infondate per il Tar anche le lamentele sulle limitazioni della caccia, poiché dal 2012, con le preesistenti zone di protezione esterna – antesignane dell’area contigua – la caccia era parimenti limitata ai soli residenti (almeno secondo il Tar, ma non secondo gli ambiti territoriali di caccia!); infondate ancora le lamentele sulla violazione dei piani di tutela dell’orso perché – e qua ci sarebbe da restare perplessi – l’istituzione dell’area contigua, come sostenuto dalla regione Lazio, risponde solo ad un obbligo di legge e nulla ha a che fare con la tutela dell’orso bruno, nonostante – aggiungiamo noi – quanto si possa leggere in ogni comunicato del Pnalm, sul sito dello stesso ente e in alcune delibere regionali.