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Frosinone-Palermo, uno spareggio lungo 4 anni. La gara sotto la lente dei giudici: i rosanero chiedevano la vittoria a “tavolino” per la promozione in A. Ricorso improcedibile

Cesidio Vano
Lunedì mattina la quinta sezione del Consiglio di Stato che lo ha dichiarato improcedibile per difetto di giurisdizione, mandando definitivamente negli spogliatoi (si spera) gli avvocati della U.S. Città di Palermo.
Aprile 14, 2022

Il ‘fischio’ finale lo ha emesso il Consiglio di Stato lunedì mattina, ponendo fine alla gara di spareggio iniziata il 16 giugno 2018 sul prato verde del ‘Benito Stirpe’ tra il Frosinone Calcio e la U.S. Città di Palermo che avrebbe deciso della promozione in Serie A.

Come gli sportivi ricorderanno, quella gara era finita 2-0 per i padroni di casa, con i Ciociari a festeggiare in strada e nelle piazze per il ritorno dei gialloazzurri nella massima serie e i tifosi ospiti a protestare per alcuni episodi che avrebbero – a loro dire – inficiato e condizionato il risultato della partita: palloni lanciati in campo, un rigore non dato, poi assegnato, infine tolto, e l’invasione dei tifosi prima del triplice fischio.
Quella gara è ‘continuata’ per anni: prima davanti a tutti gli organi della giustizia sportiva, poi davanti al Tar di Roma e, infine, è approdata davanti al Consiglio di Stato, massimo organo di giustizia amministrativa.
La dirigenza del Palermo aveva da subito annunciato ricorso, chiedendo a gran voce la vittoria “a tavolino”. Gli organi di giustizia sportiva, con diversi interventi e decisioni nei vari gradi previsti, avevano anche riconosciuto la rilevanza di taluni comportamenti tenuti durante la gara (come il reiterato lancio di oggetti in campo). Nel frattempo, però, la nuova stagione era già iniziata, con il Frosinone in A e il Palermo in B, situazioni che non potevano essere più modificate. Per cui – era stata la decisione della giustizia sportiva – le sanzioni per quei comportamenti censurati sarebbero state scontate sulla stagione in corso e senza rimettere in discussione il risultato scaturito sul campo. Stesso parere anche del collegio di garanzia.
A Palermo, però, la cosa non era andata giù e la Società sportiva aveva fatto ricorso al Tar contestando la mancata ammissione in A, chiedendo “l’accertamento del diritto della U.S. Città di Palermo S.p.a. ad
ottenere il titolo sportivo per l’iscrizione al Campionato di Serie A di calcio per la stagione 2018/2019”
.

Capita, però, che mentre il Tar esamina il caso, il Palermo fallisce. Per il Tribunale è una causa di
interruzione del giudizio, che può essere eventualmente ‘riassunto’ (cioè, per capirci, riproposto di nuovo
davanti al giudice) dal curatore fallimentare, il quale provvede ma – secondo i giudici – oltre i termini
decadenziali previsti dalla legge. Il Tar di Palermo si pronuncia allora per l’inammissibilità del ricorso.
Ai rosanero questa decisone non sta proprio bene e insistono, nuovo ricorso, al giudice di appello della
giustizia amministrativa: il Consiglio di Stato.
I togati amministrativi di palazzo Spada si rileggono tutte le carte e concludono che il Tar di Roma ha sì
sbagliato, ma solo nel motivare il rigetto del ricorso. Per i magistrati d’appello, infatti, la questione non è tanto se il ricorso sia stato riassunto tempestivamente o tardivamente, ma il fatto che le richieste avanzate dal Palermo sono finalizzate, essenzialmente, a vedersi attribuita la vittoria “a tavolino” della gara iniziata il 16 giugno 2018. Nei vari atti, infatti, si rimettere in discussione la correttezza e la regolarità tecnico-sportiva dell’incontro lamentando che “venivano lanciati dagli spalti, con l’ausilio dei raccattapalle e persino di alcuni giocatori, numerosi palloni con lo scopo realizzato di interrompere il gioco” e che “dopo il secondo gol del Frosinone vi sarebbe stata invasione di campo dei tifosi gialloazzurri così di conseguenza l’arbitro avrebbe anzitempo e irregolarmente concluso la partita, con ciò danneggiando il Palermo che doveva rimontare lo svantaggio”.
I giudici evidenziano quindi che la legislazione italiana riserva in modo esclusivo all’ordinamento sportivo “la disciplina delle questioni aventi ad oggetto l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari,
organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive”.
Insomma, la magistratura non può indossare la casacca da arbitro e sanzionare falli, decidere espulsioni o giudicare comportamenti antisportivi. Non ne ha competenza.

Per questo, lunedì mattina la quinta sezione del Consiglio di Stato, definitivamente pronunciandosi
sull’appello dei rosanero, lo ha dichiarato improcedibile per difetto di giurisdizione, mandando definitivamente negli spogliatoi – si spera – gli avvocati della U.S. Città di Palermo.

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