Giuseppe Conte di lotta o di governo? Saperlo. Conte goldoniano servitore di due padroni, Draghi di qua e il sempre più atomizzato popolo pentastellato di là? Probabile. Chi ci capisce è bravo. Peppinello Appulo, come lo chiama Dagospia, con il presidente del consiglio non può prendersela (e se ci prova, l’altro lo smonta, dandogli del guerrafondaio che ha aumentato le spese militari del 17% in piena pandemia), da Sergio Mattarella corre subito a giustificarsi, ripiegando di nuovo per bene il fazzoletto nel taschino. Ce l’ha con Salvini, suo alleato di governo, cui riserva le solite giaculatorie di doppioghismo populista. Ce l’ha con il PD, e questa è già una piccola notizia. Diventa un notizione quando spiega che i Cinquestelle non sono la succursale del Partito di Letta.
Questione guerra russo-ucraina. Nella sua visione semplicistica e improvvisata della politica, imparata sul bigino che gli aveva passato l’amico Alfonso Bonafede, Conte ha immaginato – tra un ricorso e l’altro contro di lui – di aver in tasca la ricetta per trasformare un ronzino in un cavallo da corsa, scegliendo il nervo scoperto del pacifismo d’ordinanza che alberga nel cuore di qualunque militante di sinistra. Non ci si capisce una fava.
L’interrogativo martella le menti. Conte è un incompetente diventato presidente del consiglio (due volte) perché passava da quelle parti per caso o è uno statista rimasto avvolto nella caligine leguleia per anni senza che nessuno se ne accorgesse? Uno che non è in grado neanche di dirigere una bocciofila o un novello Churchill?
Di una cosa si può, per ora, menar certezza. La prosodia di Giuseppe Conte non è cambiata. Il suo linguaggio è sempre quello di un leguleio di provincia, pieno di deviazioni, di subordinate, di vaghezze inconcludenti. Un solo sostantivo torna insistentemente: cittadini. Quella che è cambiata è la prossemica, cioè il linguaggio del corpo, la distanza tra lui e i suoi interlocutori. Si è tolto il fazzoletto dal taschino, la cravatta e persino la giacca. Parla in maniche di camicia, peccato che sia di sartoria. Pochino per fare un leader.