Neet è un acronimo dell’espressione inglese not in education, employment or trading ed indica le persone tra i 15 e 29 anni che non sono né occupate né inserite in un percorso di istruzione o di formazione. Che se ne stanno insomma tutto il giorno sul divano (non sempre per colpa propria) a girarsi i pollici. Si tratta di un fenomeno preoccupante. In Italia quasi un giovane su quattro vive questa condizione. In totale i neet tricolori sono oltre due milioni. Nel 2019 erano il 22,1 per cento e due anni dopo (dicembre 2021, ultimo dato disponibile), secondo il recente rapporto Benessere Equo e Sostenibile pubblicato dall’Istat, sono diventati il 23,1%. Il numero è leggermente inferiore al 2020 ma resta più alto prima della pandemia e, soprattutto, parecchio sopra la media europea dove, secondo le rilevazioni Eurostat, i neet sono il 13,7%. Dieci punti percentuali circa in meno rispetto al Belpaese. Parecchi, anzi troppi.
Inutile sottolineare che un fenomeno del genere non può non destare enormi preoccupazioni. Le conseguenze di un così alto numero di giovani che non va a scuola, non prova ad imparare un mestiere, non cerca più (spesso per disperazione) un posto di lavoro potrebbero, anzi sono, potenzialmente devastanti: parliamo di povertà ed esclusione sociale a livello personale e, in una dimensione macroeconomica, di perdita irrimediabile di capacità e competenze.
Vediamo come stanno le cose nel Lazio non senza prima segnalarvi che la provincia italiana con il più alto numero di neet è Cosenza. Nella nostra regione la percentuale di non occupati e fuori da percorsi formativi è del 22,4%, un dato più o meno in linea con la media nazionale. Nella provincia di Frosinone i neet sono il 22,3% percentuale che colloca la Ciociaria più o meno nella media nazionale. Fa peggio di Frosinone la provincia di Latina con il 28,5 di neet ma vanno meglio le cose a Rieti dove la percentuale è del 19,9% e Viterbo (18,5). I politici a caccia di uno scranno tengano conto di questi dati.