Per i romani cinefili è il set di “Scusate se esisto” film con Paola Cortellesi e Raoul Bova. Per tutti gli altri è uno dei più orribili quartieri dell’emisfero nord mai concepiti da mente umana. Parliamo del Corviale, periferia ovest della capitale, il più lampante errore di programmazione architettonica della storia urbanistica italiana, un anonimo e raggelante falansterio criminogeno che a visitarlo perfino un Le Corbusier ci avrebbe preso un colpo apoplettico. Un progetto pensato come contributo allo sviluppo delle periferie sul modello utopistico della città lineare, costruito e abbandonato a sé stesso, come un relitto sulla spiaggia, a lungo privo di quella rete di connessioni indispensabili per mantenerlo come un corpo vivo nel tessuto urbano della capitale.
Il luogo simbolo del Corviale è il cosiddetto Serpentone, l’elefantiaco palazzo che si snoda per centinaia di metri. Non è mai stato completato totalmente. Le prime abitazioni furono consegnate nell’ottobre 1982, ma già qualche mese dopo si verificarono le prime occupazioni abusive delle abitazioni da parte di settecento famiglie. Un formicaio di 1200 appartamenti dove nel tempo hanno sviluppato il loro humus ideale droga, degrado, atomismo, alienazione e monadismo leibneziano.
Eppure, come tutti gli errori/orrori, anche il Corviale finisce per insegnare qualcosa. Qualcosa che vale la pena raccontare. Ci prova a farlo, con efficacia, “Citofonare Morabito” (Rogas Edizioni) di Cecilia Lavatore, una sorta di romanzo/docufilm in cui si raccolgono le testimonianze dei residenti di questa materiale allucinazione utopica. E quella che emerge è una umanità che, senza neanche accorgersene e senza tante pretese, riscatta il degrado che la circonda, gli resiste, lo sfida. Alle volte con l’umorismo, altre con la rabbia, altre ancora con l’amore. Tante forme di amore.
È un insieme di voci coraggiose a modo loro quello che si concentra in “Citofonare Morabito”. Voci fuori dal coro, perché il coro è altrove, e forse canta meglio, ma che importa?
Sono trentadue storie che l’autrice conosce molto bene avendo visitato e frequentato più volte questo alveare straniante.
Il libro della Lavatore è una storia corale, tessuta come si diceva attraverso trentadue voci, trentadue personaggi di generazioni differenti che si presentano a un microfono immaginario e si raccontano a modo loro, con il proprio lessico, con il proprio slang, le loro espressioni incerte, spesso dialettali, parlandoci con un linguaggio vivace e contaminato, mescolato come le loro esistenze. Ad intervistarli è un regista immaginario, Gianluca Di Leo.
“Dalle loro voci emerge una parte di umanità che senza pretese fuoriesce dagli abissi delle periferie romane e con la propria testimonianza riscatta il degrado che la circonda – scrive l’autrice -. E un’umanità variegata e forse vinta che testimonia la propria esistenza e la propria resistenza a volte con rabbia a volte con umorismo, altre volte con testimonianze di amore ingenuo o disilluso. È un’umanità che affronta il proprio fallimento con coraggio e con ironia».
Cogliendo fior da fiore, c’è Serena, impiegata in un call center, che serena nella vita non è. Fotografa così la sua esistenza: “Fino a qualche mese fa avevo una vita piena di avventure (era una tour director, ndr) e ora me ne sto rinchiusa in casa tutto il giorno a parlare di bollette con gente che non ha volto. Solo voci, sillabe, silenzi. Suoni intermittenti”. Vive in 37 metri quadri.
“Ma ci sto bene, dai! Non mi lamento, almeno non è un seminterrato. Lo sanno tutti che a Roma nei seminterrati non si può vivere, troppa umidità”. Eppure, malgrado tutto, Serena sente che sta ricominciando a vivere. Come? Grazie all’amore. S’è invaghita di un corriere. “È un gran bel ragazzo, sembra uno forte, ha i capelli castano chiaro e gli occhi azzurrissimi che spuntano dalla mascherina e mi sprofondano giù, in un altro posto più bello. Dove i call center non esistono. E neanche il Covid. E si viaggia sempre”.
Andrea Lodi detto l’istrione, istrioneggia. “Benvenuti nel mio canale YouTube! La cosa che mi è sempre piaciuta di più di questo appartamento è… Un momento, fatemi riflettere. Niente, non mi è mai piaciuto niente di questo appartamento, ma costava poco ed era disponibile da subito. Così, lo scorso anno, quando ho iniziato l’Accademia, l’ho preso, e ora non mi va di cambiarlo. A dire il vero, non mi va neanche di pagarlo. Sono moroso da tre mesi, ma tanto non mi possono sfrattare, non ho neanche un contratto. E poi, pure fosse… Ci sono gli sfratti bloccati fino al 2022. Meraviglioso! I risvolti positivi del Covid. Ti pare che per stare in questo quartiere, devo pagare pure? Se si può chiamare quartiere… “
L’ironia, la risorsa più preziosa dei romani. “Buonasera a tutti, io sono Anna Spallieri. Perché me presento da dentro ar cesso? Eh, c’avete ragione pure voi, è ‘na domanda legittima. Dunque, perché lo scenario è questo: mi’ madre sta a passa’ lo straccio, avvelenata come ar solito suo, mi’ padre s’è abbioccato sul divano in sala, e mi’ nonna sta a pija’ er sole in terrazzino (ogni tanto devo fa’ un check e anna’ a vede’ se è ancora viva. Non se sa mai co’ nonna Adele)”. Ma non ce l’hai ‘na stanza? direte voi. Eh sì, ce l’avrei, ma ce sta mi’ sorella Chiara che ha deciso de diventa’ la nuova influencer de Corviale.
E c’è la prof che ha scelto di andare ad insegnare in periferia.
“Sono la prof. Gualtieri. E sì, insegno a Corviale. E no, non me ne pento. Insegnare è stata la prima cosa bella. La prima cosa davvero bella che mi sia capitata nella vita. L’ora di lezione è sempre questo: una miscela misteriosa di esistenze vive in un sistema aperto, una formula irripetibile declinata in migliaia di ipotesi possibili a confronto, tra le quali, in ogni dato momento, ci si accorda per la più vera. E questo amore, questa fascinazione che provo, si sente, lo sentono i ragazzi. Si sentono importanti, si sentono essenziali. E l’essenza ha significato e il significato dà la misura di sé. Certe volte resto sola nell’aula, quando tutti se ne sono andati e guardo i banchi vuoti. Allora, mi sento grata. Mi ricordo dei sacrifici fatti per diventare insegnante, ripenso alle turbolenze che mi sono lasciata dietro, a quel graffio lungo che è stato la mia adolescenza e sì, mi commuovo un po’, ma lo avete capito che sono uno spirito fragile suppongo!”