Prima o poi sarebbe accaduto. In un allevamento del Lazio sono stati scoperti due animali positivi alla peste suina. “Si è avverato ciò che non avremmo mai voluto, con la peste dei cinghiali che è arrivata all’interno di un allevamento” sottolinea Prandini nel denunciare il pericolo che il fenomeno possa dilagare boicottando il lavoro e il sacrificio di intere generazioni e una filiera d’eccellenza del Made in Italy.
A questo punto, per evitare che la rabbia e la paura degli allevatori salga (peraltro legittimamente) di tono, è indispensabile che le istituzioni si diano una mossa. Tanto più che la notizia dell’arrivo del virus arrivato nell’allevamento è stata data dallo stesso assessore alla Sanità D’Amato.
L’azienda colpita si trova all’interno della zona rossa già individuata e perimetrata nell’area romana: a comunicarlo sono stati gli operatori dell’Istituto Zooprofilattico. Come annunciato in precedenza, una volta rilevata la positività dei due maiali al morbo della peste suina, sono stati abbattuti dai servizi veterinari. D’Amato, nella giornata di ieri, giovedì 9 giugno, ha dichiarato: «La peste suina provocata dai cinghiali entra in un piccolo allevamento della zona perimetrata – si legge in un documento -. Sono stati rilevati infatti due casi di positività. Queste sono le notizie appena fornite dall’Istituto Zooprofilattico. Tutti i capi saranno immediatamente abbattuti da parte dei servizi veterinari della Asl ed è in corso la riunione della task-force».
“E’ importante il coinvolgimento del Ministero della Sanità – commenta il presidente della Coldiretti – per debellare la malattia in tempi brevi e togliere i vincoli alla capacità produttiva e alle esportazioni su tutto il territorio nazionale, dove migliaia di maiali sani sono già stati abbattuti nonostante siano stati registrati due soli casi di positività”. Sono quasi cinquantamila i maiali allevati nel Lazio a rischio per la peste suina africana (Psa) – ricorda Coldiretti – che è spesso letale per questi animali, ma non è, invece, trasmissibile agli esseri umani e nessun problema riguarda la carne.
A scatenare la diffusione della malattia è il proliferare indiscriminato dei cinghiali e per questo – continua la Coldiretti – è necessario intervenire con la modifica immediata dell’art. 19 della legge 157/1992 semplificando le procedure per l’adozione dei piani di abbattimento approvati dalle regioni e il rafforzamento delle competenze dell’ufficio commissariale previsto dal Decreto Legge 17 febbraio 2022, n. 9. Il rischio – conclude Coldiretti – è che l’emergenza si allarghi e che siano dichiarate infette le aree ad elevata vocazione produttiva con il conseguente pregiudizio economico che potrebbe discendere per la filiera agroalimentare e l’occupazione in un settore strategico del made in ltaly”.