Sono oltre 421mila i lavoratori in nero nel Lazio, che fa registrare un tasso di irregolarità pari al 15,3%. Nella nostra regione gli occupati in nero rappresentano un valore aggiunto per l’economia pari al il 5,4% con un valore di circa 9,8 miliardi di euro.
I dati che elenchiamo sono quelli che emergono dal recentissimo studio messo a punto dall’associazione di categoria delle piccole e medie imprese Cgia che ha segnalato il peso, sull’economia italiana, del lavoro irregolare.
Un quadro allarmante da cui emerge come il “lavoro forzato” sia sempre più diffuso e come, contrastando il “nero” si riuscirebbe ad aumentare anche il salario minimo.
In Italia, stando ai dati Istat elaborati dalla Cgia, i lavoratori in nero rappresentano un vero e proprio esercito che vede ogni giorno nuovi arruolamenti.
Secondo gli ultimi dati disponibili, riferiti a inizio 2020, in Italia c’erano 3,2 milioni di occupati irregolari. In termini assoluti è il Nord l’area del Paese con il maggior numero di occupati irregolari pari a 1.281.900, seguita dal Mezzogiorno con 1.202.400, mentre al Centro se ne contano 787.700. Tuttavia, la classifica cambia se si considera il tasso di irregolarità, cioè l’incidenza del lavoro irregolare sul totale dell’occupazione (sia quella regolare che quella non regolare). In questo caso l’area del Paese con una significativa maggiore incidenza del lavoro irregolare è il Mezzogiorno (17,5 per cento) in cui si stimano 17,5 occupati irregolari ogni 100, mentre al Centro ve ne sono 13,1 e al Nord circa 10.
Lo studio della Cgia parla di vero e proprio “lavoro forzato” poiché in alcuni settori – come l’agroalimentare, i trasporti, le costruzioni, la logistica e i servizi di cura – “lo sfruttamento praticato, in particolar modo, dalle organizzazioni criminali – che, con la crisi, hanno diffuso i loro interessi nell’economia reale del Paese -, è sempre più spesso “affiancato” da violenze, minacce e sequestro dei documenti: l’applicazione di queste coercizioni ha trasformato ampie sacche di economia sommersa in lavoro forzato”
Le vittime sono, soprattutto, cittadini stranieri presenti irregolarmente in Italia, ma dai dati emerge anche che sempre più numerosi italiani si trovano a vivere questo dramma.
I dati, però, rivelano anche un altro aspetto della vicenda. A fianco degli “sfruttati” c’è anche una parte di lavoratori irregolari che risulta “indipendente”: benché con numeri minoritari, si tratta di chi lavora in nero ma, quale soggetto molto “intraprendente”, ogni giorno si reca – ad esempio – nelle abitazioni degli italiani a fare piccoli lavori di riparazione, di manutenzione (verde, elettrica, idraulica, fabbrile, edile, etc.) o per prestare servizi alla persona (autisti, colf, badanti, acconciatori, estetiste, massaggiatori, etc.). Anche in questo caso un esercito di “invisibili” che, ovviamente, non è alle “dipendenze” né di caporali né di imprenditori aguzzini. Un esercito composto da pensionati, dopo-lavoristi, inattivi, disoccupati o persone in Cig che arrotondano le magre entrate con i proventi recuperati da queste attività illegali.
Dall’associazione imprenditoriale sottolineano però anche come “non sia un caso che, una buona parte dei settori più interessati dall’economia sommersa, sia anche quella dove le retribuzioni previste dai contratti nazionali di lavoro dei livelli di inquadramento inferiori siano ben al di sotto dei 9 euro lordi all’ora. In agricoltura e nei servizi alla persona, ad esempio, la presenza del “nero” contribuisce a mantenere basse le retribuzioni previste dai contratti sottoscritti dalle parti sociali di questi settori, altrimenti molte aziende, che con il sommerso non vogliono avere nulla a che fare, innalzando troppo i minimi salariali sarebbero spinte fuori mercato”.
Sconfiggere il lavoro nero, dunque, è per la Cgia il passo necessario per creare le condizioni di aumento del salario minimo. E su questo forte una buona notizia arriva dal ‘Piano nazionale per la lotta al lavoro sommerso’ che dovrebbe essere reso operativo entro questo anno. Il Piano prevede l’assunzione di 2mila nuovi ispettori e più controlli, rafforzando così le misure di deterrenza del lavoro nero, attraverso il rafforzamento anche delle ispezioni e delle sanzioni.
L’economia sommersa presente in Italia “genera” ben 76,8 miliardi di euro di valore aggiunto. Una piaga sociale ed economica che, a livello geografico, presenta differenze molto importanti. Le situazioni più critiche si registrano nel Sud. In Calabria, ad esempio, a fronte di “soli” 131.700 lavoratori irregolari, il tasso di irregolarità è del 21,5 per cento e l’incidenza dell’economia prodotta dal sommerso sul totale regionale ammonta al 9,2 per cento (in termini assoluti il valore aggiunto da lavoro irregolare è pari a 2,7 miliardi di euro). Nessun’altra regione registra una performance così negativa. Altrettanto critica è la situazione in Campania, dove i 352.700 occupati non regolari provocano un tasso di irregolarità del 18,7 per cento e un Pil da “nero” sul totale regionale dell’8,1 per cento (8,1 miliardi di euro). Preoccupante anche la situazione in Sicilia: a fronte di 280.200 lavoratori in nero, il tasso di irregolarità è al 18,5 per cento e il valore aggiunto prodotto dall’economia sommersa su quello ufficiale è del 7,4 per cento (5,9 miliardi di euro).