Netflix ha riacceso i riflettori su uno dei casi di cronaca più sconvolgenti della storia italiana: la scomparsa di Emanuela Orlandi. La piattaforma ha distribuito dal 20 ottobre 2022 Vatican girl, una docu-serie investigativa suddivisa in 4 parti in cui si ripercorre, attraverso i fratelli di Emanuela, giornalisti italiani (tra cui Andrea Purgatori), medici legali, professori universitari e avvocati la storia di Emanuela. Con la grande ambizione di trovare un filo che conduca alla verità a quasi 40 anni dalla sua scomparsa.
A Roma in questi giorni sono riapparsi migliaia di cartelloni che denunciano ancora una volta la scomparsa di Emanuela, ma, questa volta, sotto la sua foto compaiono tutte le ipotesi sulla ‘fine’ della giovane 15enne, quelle che ha riportato anche Vatican girl su Netflix e che per anni hanno riempito le prime pagine dei giornali italiani ed internazionali, dalla mafia, ai Lupi Neri, alla pedofilia, al ricatto economico fino alla Santa Sede.
Che fine ha fatto la giovane cittadina del Vaticano scomparsa a soli 15 anni il 22 giugno del 1983? Uno dei grandi misteri della recente storia italiana. Un mistero che riflette anche la fragilità e i segreti all’interno del Vaticano (come mostra magistralmente la serie). Un caso su cui ancora oggi in tanti non dicono tutto quello sanno. Mark Lewis senza troppi giri di parole fa percepire allo spettatore, già dalla prima puntata, come il Vaticano sia dentro con tutte le scarpe in questa storia. In ogni pista, in ogni depistaggio nell’arco di questi quasi 40 anni, c’è un filo di verità secondo il regista: quello che porta al Vaticano.
La scomparsa di Emanuela
Al momento della sua scomparsa, Emanuela aveva appena terminato il secondo anno del liceo scientifico presso il Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II e si stava preparando per trascorrere un’estate di studio, dato il debito in latino e francese. Aveva spiccate doti musicali e suonava pianoforte e flauto traverso, proprio prima di sparire nel nulla era a scuola di musica. Di lì a poco si perderanno le sue tracce. L’unico contatto con la famiglia è quando ha avvisato la sorella di essere stata avvicinata da un venditore Avon (noto marchio di cosmetici) per farla entrare nel giro commerciale.
Il vigile urbano Alfredo Sambuco, sotto richiesta della famiglia Orlandi, si presenta alla polizia per dire che ha visto una ragazza molto somigliante a Emanuela che parlava con un uomo di circa 35 anni che guidava una Bmw di un colore particolare: verde tundra. Lui è in servizio a Palazzo Madama e sostiene che l’uomo abbia una borsa con la scritta Avon. Anche il poliziotto Bruno Bosco conferma: riesce a vedere la stessa borsa con la scritta Avon.
Dopo la denuncia della scomparsa, nessuno pare dare molta importanza al caso, fino alle prime scoperte…
Pietro Orlandi
Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, è uno dei protagonisti della docu-serie scritta e diretta da Mark Lewis e prodotta da RAW. Un uomo, un fratello, un figlio che non si è mai arreso e continua a cercare la sorella. O almeno, come ribadisce in maniera straziante, di un corpo sul quale la famiglia possa piangere.
Pietro, insieme a tanti altri altri protagonisti, tra cui una irriconoscibile Sabrina Minardi, l’amante del boss della Banda della Magliana Enrico De Pedis, snocciolano tutte le vicende degli anni, comprese le telefonate del misterioso “americano” e dei nastri agghiaccianti, con le comunicazioni dei rapitori, la voce della giovane Emanuela e quello che sembra essere l’audio di una tortura.
La Minardi – “E’ tutto un gioco di potere”
Minardi racconta, come ha raccontato per anni agli inquirenti, che la giovane fu tenuta nascosta per dieci giorni in una sua casa a Torvajanica sotto richiesta di “Renatino” De Pedis.
“Sabri’, è tutto un gioco di potere”. Le parole che ripete la Minardi per tutta la docu-serie, quelle che gli ripeteva il suo amante, il boss della Magliana. La sua versione continua poi con lo spostamento di Emanuela in un appartamento nel quartiere Monteverde di Roma con grandi sotterranei. Fino a che Emanuela non viene accompagnata in auto a un distributore di benzina del Vaticano dove sarebbe stata prelevata da un prete.
Il terrorismo internazionale
La prima pista investigativa fu il terrorismo internazionale. Nelle prime comunicazioni, attraverso il cosiddetto “Americano” (dato l’accento) i rapitori proposero uno scambio con Ali Agca, che era in carcere perché due anni prima aveva cercato di uccidere Papa Giovanni Paolo II in Piazza San Pietro. Si ipotizzava che Agca, come da lui stesso dichiarato, fosse stato mandato dal Kgb per eliminare il Papa, nemico del comunismo, e che la sua liberazione fosse il primo passo per metterlo a tacere ed impedire di rivelare segreti indicibili.
Roberto Calvi e la banda della Magliana
Nella sua lotta al comunismo, il Vaticano avrebbe finanziato Solidarnosc, un’associazione anticomunista per liberare la Polonia dal regime. Un finanziamento che, come racconta il regista, sarebbe stato mascherato dal Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. Chiamato il “banchiere di Dio” perchè la banca è di proprietà del Vaticano, sarebbe stato coinvolto nel riciclaggio di soldi della mafia e la sua morte a Londra sarebbe stata un regolamento di conti, per delle somme non restituite.
Marco Accetti
Una figura controversa, coperta in viso per tutta la mini-serie, che per fama di popolarità ha inscenato il suo coinvolgimento nella vicenda Orlandi. Ha fatto chiamate false per nome dell'”Americano” e si è vantato di esser lui ad aver rapito Emanuela, inventandone il caso per volere di potenti uomini del Vaticano.
La testimonianza inedita
Con il volto oscurato e la voce camuffata una ex compagna di classe della Orlandi racconta in esclusiva a Netflix che Emanuela pochi giorni prima della sua scomparsa le avrebbe raccontato che una persona molto vicina al Papa l’aveva infastidita. “E si trattava di un’attenzione sessuale”, spiega la testimone.