Nicola Zingaretti ha perso la pazienza con Carlo Calenda e in una dichiarazione pubblica ha detto che è paradossale che Azione dica di non volere che il candidato alla presidenza della Regione lo scelgano i Cinque Stelle, ma al tempo stesso sia lui a volerlo indicare. Neppure tanto velato il riferimento all’ipotesi di Alessio D’Amato, che Calenda appoggerebbe volentieri. Ma senza i Cinque Stelle. Di fatto però, se ci sono stati due esponenti che negli ultimi dieci anni hanno “incarnato” lo spirito dell’Amministrazione Zingaretti, quelli sono Daniele Leodori e Alessio D’Amato. Nessuno dei due ha avuto l’endorsement del quasi ex Governatore. E anche questo è un elemento che va considerato nel mare immenso dei veti incrociati del Pd. Quando, nel corso delle riunioni al Nazareno, Enrico Letta, Nicola Zingaretti, Francesco Boccia e Bruno Astorre, disegnano strategie astratte e invitano a sgombrare il campo (strettissimo) dai nomi, di fatto chi penalizzano? Gli unici due che, in tempi diversi e con modalità differenti, non solo hanno dato la loro disponibilità a scendere in campo ma più volte si sono “permessi” di sollecitare le primarie. Daniele Leodori adesso si è stancato e ha fatto un assai polemico (ma giusto) passo di lato. Alessio D’Amato ha capovolto la clessidra per decidere quando far terminare il conto alla rovescia.
Nel Pd c’è chi ancora segretamente punta su Enrico Gasbarra (Goffredo Bettini), ma soprattutto c’è l’intero gruppo dirigente, nazionale e regionale, che sta “elemosinando” l’accordo con i Cinque Stelle di Giuseppe Conte. E’ per questo motivo che Nicola Zingaretti rinvia continuamente la data delle dimissioni. Si arriverà al paradosso che le regionali si terranno poco prima del congresso, contribuendo ad alimentare confusione e polemiche. Il centrodestra guarda con attenzione a quanto succede nell’ex Campo largo ma comunque nelle prossime settimane indicherà il candidato. Sarà un esponente di Fratelli d’Italia. Nelle ultime ore è tornato a salire Fabio Rampelli, ma sia Chiara Colosimo che Francesco Rocca restano in corsa.
FERENTINO, ANAGNI E…FROSINONE
Ad ogni elezione tutti ripetono un concetto vecchio, trito e ritrito e molto ipocrita: “Bisogna coinvolgere i sindaci”. Ma che peso hanno questi amministratori nei rispettivi partiti e nelle coalizioni? Prossimo allo zero. A Ferentino Antonio Pompeo chiuderà un doppio mandato importante, eppure perfino lui ha difficoltà a indicare il possibile successore. Il nome del presidente dell’ordine degli avvocati Vincenzo Galassi non ha “sfondato” e inoltre Piergianni Fiorletta non ha ritirato il suo nome dal novero dei possibili candidati. Situazione di stallo. Ad Anagni non ne parliamo proprio. Eppure Daniele Natalia, oltre che sindaco, è un dirigente apicale di Forza Italia. Sia nell’uno (Ferentino) che nell’altro caso (Anagni) le segreterie politiche dei partiti preferiscono stare a guardare. A Frosinone Riccardo Mastrangeli è stato eletto meno di cinque mesi fa con il sostegno entusiasta di una coalizione unita e motivata. Ma quando ha voluto girare il video per invitare a votare Lega, l’incantesimo si è rotto. Fratelli d’Italia ha dovuto rivedere la sua impostazione. Per la candidatura alla presidenza della Provincia si naviga a vista. Senza certezze e senza ipotesi di accordo all’orizzonte.
LA LEZIONE IGNORATA DEL 25 SETTEMBRE
La vittoria del centrodestra alle politiche è scaturita soprattutto dalla capacità dei leader di quella coalizione di interpretare la legge elettorale. Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi non si “amano” affatto, semplicemente hanno capito che per vincere occorre fare blocco, stare dalla stessa parte. Probabilmente lo schema verrà ripetuto alle regionali, ma è complicato che la medesima cosa possa essere fatta per le provinciali e poi per le comunali. Nel territorio prevalgono le divisioni. Nel centrosinistra è ancora peggio. Intanto perché Pd, Cinque Stelle e Terzo Polo si ritrovano a “scannarsi” sulle regionali del Lazio e della Lombardia. Inoltre sul piano locale il Movimento Cinque Stelle rimane un’incompiuta. Non c’è alcun tipo di radicamento vero e di struttura. Mentre Azione e Italia Viva non danno nemmeno la sensazione minima di prendere una decisione che sia una. Sulle regionali Calenda oscilla continuamente, in provincia nessuno si azzarda a dare un’indicazione oppure una linea. Quanto al Partito Democratico, le regionali daranno esattamente l’attuale dimensione. Mauro Buschini, Antonio Pompeo e Sara Battisti sono lontanissimi l’uno dall’altro. Eccettuate le manifestazioni ufficiali, ognuno farà corsa a sé cercando di ottenere i voti necessari per essere eletto. Ma attenzione ai due… che non ce la faranno, specialmente se nel Lazio sarà il centrodestra a vincere. Resteranno nel partito e si metteranno a disposizione come dei semplici militanti? Molto difficile. Fra l’altro nel Pd si prospettano cambiamenti importanti: dal congresso nazionale uscirà un nuovo leader. Ma c’è pure l’assemblea regionale e Bruno Astorre dovrà passare la mano. La federazione provinciale dovrà tenere conto dei nuovi assetti, che non saranno indolori finita la lunga stagione di Nicola Zingaretti.