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Cgia: “In Italia paghiamo più pensioni che stipendi”

Cesidio Vano
Il numero di pensioni erogate supera la platea di lavoratori, la Regione Lazio è tra quelle virtuose e fa registrare un saldo positivo, ad eccezione di alcune province tra cui Frosinone
Gennaio 2, 2023

Nel Sud Italia ci sono più pensionati che lavoratori. Il calcolo lo ha fatto l’ufficio studi della Cgia, associazione di categoria delle piccole e medie imprese, stilando la classifica nazionale delle regioni e delle province in base al numero delle pensioni erogate e del numero degli occupati.

Cgia, Lazio regione virtuosa

Questa volta, la Regione Lazio è tra quelle virtuose e fa registrare un saldo positivo. A fronte di oltre 2 milioni di pensionati, infatti, la nostra regione conta 2,2 milioni di lavoratori, per l’esattezza è di circa 251.000 lavoratori in più la differenza tra le due voci prese in esame. Nella classifica relativa alle regioni il Lazio si piazza al 12° posto su 20.

Bene Roma e Latina. Male Frosinone, Viterbo e Rieti

A livello provinciale, invece, solo le province di Roma – che fa da traino al computo regionale – e Latina fanno registrare un saldo positivo: Roma con 1.449.000 pensioni e 1.724.000 lavoratori segna un +275.000 lavoratori; mentre Latina, con 203.000 pensioni e 206.000 lavoratori, ha un positivo di 3.000 lavoratori.

Segno meno, invece, per le altre tre province del Lazio: Frosinone, con 172.000 pensionati e 168.000 lavoratori, fa registrare 3.000 lavoratori in meno rispetto alle pensioni erogate; Rieti, con 66.000 pensionati e 56.000 lavoratori, circa 9.000 lavoratori meno rispetto ai pensionati; Viterbo, con 125.000 pensionati e 111.000 lavoratori, 14.000 lavoratori in meno (la somma delle pensioni nelle province non corrisponde al totale per la presenza di pensioni fuori dal territorio nazionale e di quelle non ripartibili).

Tutta colpa della denatalità

Nel report della Cgia, si legge: “In linea di massima, comunque, le ragioni di questo divario tra lavoratori e numero di pensioni vanno ricercate nella forte denatalità che, da almeno 30 anni, sta caratterizzando il nostro Paese. Il calo demografico, infatti, ha concorso a ridurre la popolazione in età lavorativa e ad aumentare l’incidenza degli over 65 sulla popolazione complessiva. Si segnala che tra il 2014 e il 2022 la popolazione italiana nella fascia di età più produttiva (25-44 anni) è diminuita di oltre un milione e 360 mila unità (-2,3 per cento). Per quanto concerne il risultato “anomalo” del Sud, va segnalato che, rispetto alle altre ripartizioni geografiche d’Italia, il numero degli occupati è sensibilmente inferiore. Va infine evidenziato che il risultato di questa analisi è sicuramente sottodimensionato; ricordiamo, infatti, che in Italia ci sono poco più di un milione e 700 mila occupati che dopo essere andati in pensione continuano, su base volontaria, a esercitare ancora l’attività lavorativa in piena regola”.

E così si fatica a trovare personale

Il progressivo invecchiamento della popolazione italiana sta provocando anche un altro grosso problema. Da tempo, ormai, gli imprenditori – non solo al Nord – denunciano la difficoltà di trovare sul mercato del lavoro personale altamente qualificato e/o figure professionali di basso livello. Se per i primi le difficoltà di reperimento sono strutturali a causa del disallineamento che in alcune aree del Paese si è creato tra la scuola e il mondo del lavoro, per le seconde, invece, sono posti di lavoro che spesso i nostri giovani, peraltro sempre meno numerosi, rifiutano di occupare e solo in parte vengono “coperti” dagli stranieri. Una situazione che con la congiuntura economica negativa alle porte potrebbe essere destinata a rientrare, sebbene in prospettiva futura la difficoltà di incrociare la domanda e l’offerta di lavoro rimarrà una questione non facile da risolvere.

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