Francesco Rocca torna a parlare delle province e del loro rapporto “malsano” con la Regione. Sposa la tesi secondo la quale i fondi a disposizione e i progetti infrastrutturali siano pochi e che i “territori” soffrano di un ritardo di crescita che si sta facendo grave.
All’incontro provinciale di Fratelli d’Italia a Ceccano (Teatro Antares gremito, dirigenti e candidati tutti presenti) sposa in pieno il discorso che il leader provinciale Massimo Ruspandini porta avanti da anni: una provincia con 91 comuni ha bisogno di ben altre risposte da Roma. Ha bisogno di attenzione e soluzioni ad hoc.
Ecco dunque la “casa dei Comuni” evocata più volta da Rocca come una specie di “sottotitolo” al logo Regione Lazio.
Un’istituzione che sia innanzitutto a servizio dei sindaci del territorio che quotidianamente affrontano molle problematiche quasi sempre a corto di fondi e soluzioni per risolverli.
Nel Pd ciociaro nel 2019 erano tutti zingarettiani. Il Governatore del Lazio in Ciociaria superò il 91% dei consensi: più di una roccaforte, un bunker. Grazie alla spinta di Pensare Democratico di Francesco De Angelis, dell’allora fedelissimo Mauro Buschini, di una Sara Battisti che aveva appena iniziato la scalata interna. Luca Fantini, in quel momento, guidava i Giovani del partito, ma era stato l’unico a schierarsi con “Zinga” quando, alcuni anni prima, tutti gli altri si erano scoperti renziani. Buschini compreso, al punto che ci furono mesi di distanza abissale con Zingaretti.
La tradizione del Partito Democratico in provincia di Frosinone è caratterizzata da una vocazione “governista”. Si sta tutti con chi è alla guida del partito. Con sfumature molto diverse però. All’epoca di Matteo Renzi, i fedelissimi della prima ora erano Francesco Scalia e Simone Costanzo.
Francesco De Angelis arrivò dopo l’addio a Ignazio Marino. De Angelis non si preoccupa mai di chi sarà il segretario, per un motivo: fa pesare la maggioranza della sua area. Con Nicola Zingaretti è stato diverso perché in realtà c’era una condivisione effettiva di Pensare Democratico. In quel caso fu la corrente di Antonio Pompeo ad uniformarsi, anche se non con una convinzione assoluta.
Stavolta invece Pompeo fa parte dell’entourage strettissimo del sindaco di Firenze Dario Nardella, coordinatore della mozione di Stefano Bonaccini. Mozione sulla quale convergerà anche Francesco De Angelis. Come nella migliore tradizione verranno fatte due liste a sostegno di Bonaccini, una di De Angelis e l’altra di Pompeo. Per contarsi, tanto per cambiare.
ROCCA, D’AMATO E GLI SCHIERAMENTI
Per capire qualcosa di più degli schieramenti all’interno del Pd è necessario dare uno sguardo alla situazione nazionale. Con Bonaccini ci sono Pina Picierno (in contrasto con la posizione di AreaDem di Franceschini), Dario Nardella naturalmente, Antonio Decaro, Gaetano Manfredi, Michele Emiliano, Vincenzo De Luca, Eugenio Giani, Andrea Rossi, Debora Serracchiani, Piero Fassino, Simona Malpezzi. E gran parte di Base Riformista, l’area degli ex renziani rimasti nel Pd (Lorenzo Guerini, Luca Lotti): a cominciare da Alessandro Alfieri.
Con Elly Schlein c’è AreaDem del potentissimo Dario Franceschini. Non tutti però. Sembra per esempio che il senatore Bruno Astorre, segretario regionale del Lazio, sia orientato ad appoggiare Bonaccini. Con Schlein Francesco Boccia (il più convinto di tutti della necessità di un’alleanza con il Movimento Cinque Stelle), Andrea Orlando, Laura Boldrini, Peppe Provenzano, Michela Di Biase, Ma anche il giovane Marco Sarracino (di origini ciociare), responsabile del partito a Napoli. Pare che con Schlein alla fine ci sarà Nicola Zingaretti, ma è meglio non sbilanciarsi.
L’ex segretario ha fatto capire in più occasioni di non essersi ancora appassionato ad un congresso che gli appare soporifero. Per la segreteria ci sono anche altri candidati: Gianni Cuperlo e Paola De Micheli. Il fatto che Nicola Zingaretti non possa contare su una propria corrente di riferimento spiega perché ad un certo punto è stato costretto a dimettersi da segretario (attaccando duramente il sistema delle correnti). Ma spiega pure perché l’ex Governatore non ha inciso nulla sulla scelta del candidato del centrosinistra alla presidenza della Regione Lazio.
Alessio D’Amato non ha mai fatto riferimento a lui. Daniele Leodori è stato prima presidente del consiglio e poi vicepresidente: è sempre stato l’uomo macchina della Regione, anche prima di diventare presidente vicario dopo le dimissioni dello stesso Zingaretti. Precedentemente alla caduta del Governo Draghi e alle elezioni anticipate, nel Pd romano si stavano decidendo le strategie per le regionali.
Il grande favorito era Daniele Leodori, che però, dopo il lancio in grande stile della candidatura per le primarie, ha scoperto dai giornali che in tanti (da Zingaretti a De Angelis) erano stati nel frattempo folgorati sulla strada di Enrico Gasbarra. Successivamente Zingaretti è stato eletto deputato, alla Regione l’ha spuntata D’Amato. Ma qualcosa di profondo si è rotto non tanto nel partito quanto nel nucleo storico che per dieci anni ha appoggiato Nicola Zingaretti.
Perfino l’eurodeputato Massimiliano Smeriglio ha preferito mantenere un profilo che più basso non si può. Adesso sotto con un altro congresso e con altre primarie. In realtà molti big del partito sono schierati con la Schlein, ma questo fa parte dell’universo del Pd, dove le contraddizioni (apparenti) sono all’ordine del giorno. Se verrà eletto segretario nazionale, Stefano Bonaccini avrà una sola strategia da attuare per cercare di cambiare sul serio un partito che rischia di diventare marginale, schiacciato tra Fratelli d’Italia e il Movimento Cinque Stelle. Dovrà distinguere tra chi lo ha sostenuto dall’inizio e chi è saltato sul carro del vincitore strada facendo. Altrimenti sarà stato tutto inutile.