Sono gli unici due leader in campo in queste elezioni regionali dalla campagna elettorale tiepida che, complice il grande freddo, non ha scaldato piazze e folle. E come tutti i leader sanno bene che il 13 febbraio per loro non ci saranno vittorie o sconfitte. E nemmeno giudizi definitivi sulle loro scelte e sui risultati dei candidati che hanno messo in campo. Storie diverse, diametralmente opposte in questo inedito frangente della vita politica italiana. L’obiettivo di Francesco De Angelis è quello di riportare Sara Battisti in Regione.
Quello di Massimo Ruspandini è ottenere un grande risultato con la lista di Fratelli d’Italia per affermare definitivamente peso e caratura politica e prendersi una volta per tutte la guida del centrodestra ciociaro.
Storie diverse ma un unico denominatore: la solitudine di chi è al comando nei momenti che contano. Quelli nei quali coloro che un minuto prima erano gli strenui difensore delle tue scelte sono pronti a contestarti se il risultato non fosse quello che hai previsto e per il quale hai lavorato.
Rino Formica disse “la politica è sangue e merda”. Proprio così.
E chissenefrega di quello che c’è dietro ad una candidatura, all’equilibrio “sopra la follia” della formazione di una lista, al puzzle psicologico “di chi deve appoggiare chi” mantenendo uniti sotto la stessa bandiera militanti, partito e candidati.
Francesco De Angelis dopo il capolavoro delle provinciali prova il bis con Sara Battisti. I rumors parlano di un Antonio Pompeo che cresce giorno dopo giorno e sfiderà l’esponente fiuggina sul terreno del voto popolare e trasversale dove obiettivamente oggi ci sono pochi spazi per una figura identitaria e fortemente connotata come la “pasionaria” ciociara salita agli onori delle cronache, nei cinque anni di Regione, più per il “lei non sa chi sono io” del pic-nic durante il lockdown e per il ruolo di attrice non protagonista nella notte del “me te compro” che per qualche soluzione ai tanti problemi del territorio.
Massimo Ruspandini invece pensa al risultato della lista. Che a leggerla bene è un capolavoro di tattica e alchimia. Il risultato di un percorso compiutosi nel pieno dell’ascesa di un partito che due anni fa aveva appena un terzo dei consensi di oggi. L’estratto finale di dolorose rinunce e, riecco Formica, sanguinosi “no”. A partire da quelli ceccanesi a Roberto Caligiore, Riccardo Del Brocco e Federica Aceto passando per Frosinone con la rinuncia a Fabio Tagliaferri per arrivare all’ennesimo stop a Massimiliano Bruni a Sora o a Lucio Fiordalisio a Patrica. Una lista che a parte il favorito Daniele Maura vede gli altri competitor pienamente in corsa per il secondo e terzo posto entrambi potenzialmente utili per l’approdo alla Pisana.
Ma anche Massimo Ruspandini, nel suo atavico minimalismo, sa bene che il giorno dopo ci saranno quelli “che si poteva fare meglio” senza tener conto di tutte le energie spese per tenere insieme, caso più unico che raro, un partito le cui percentuali sono quelle della Dc o della Forza Italia di un tempo dove serviva una rubrica telefonica solo per riunire i tanti capi-corrente.
Ruspandini e De Angelis sanno già che il giorno dopo, quello della vittoria o della sconfitta, delle esultanze o dei rimpianti, avrà sempre il retrogusto amaro che solo i veri “numeri primi” sanno assaporare: quello della solitudine. E di un’altra vetta da scalare all’orizzonte.