L’HPV, comunemente conosciuto come Papilloma virus, è la più diffusa tra le malattie sessualmente trasmissibili. La particolarità di questo virus, da cui ne consegue la sua estrema pericolosità, è che spesse volte l’infezione decorre in modo asintomatico, tanto che la maggior parte delle persone infettate non sa di essere stata contagiata e in talune di esse può avere pericolose conseguenze.
Si stima che oltre il 50 per cento della popolazione sessualmente attiva venga a contatto con il virus contraendolo almeno una volta nella vita, con un picco di diffusione nel sesso femminile fino ai 25 anni di età. L’HPV nella maggior parre dei casi non causa alcun sintomo; il vero rischio è però legato alla possibile comparsa di tumori dell’area genitale, in primis al collo dell’utero o cervice uterina.
Ecco perché la prevenzione, fatta da continui e periodici controlli, e il vaccino, per chi è nella fascia d’età considerata ‘utile’, possono prevenire anche le più nefaste conseguenze.
Ne abbiamo parlato con la dottoressa Maria Gabriella Calenda, referente del coordinamento attività vaccinali dell’Asl di Frosinone, alla quale abbiamo chiesto come risponde ad oggi la popolazione pediatrica al vaccino contro il Papilloma virus.
“Potrebbe far di meglio. Senza dubbio. Se si considera che il vaccino contro tale virus, che comprende la fascia d’età adolescenziale che va dagli 11 ai 14 anni, è a tutti gli effetti un vaccino antitumorale, la risposta da parte dell’utenza non è del tutto soddisfacente. Certo, in questi ultimi due anni ha giocato un importante ruolo la situazione Covid, che ha sostanzialmente bloccato gli utenti nel richiedere la
somministrazione. Ma la Asl sta provvedendo attraverso l’invio di espliciti solleciti”.
C’è reticenza da parte dei ragazzi, dottoressa?
“Sì. Non abbiamo una copertura elevatissima. Temo che ancora oggi non venga recepita in maniera corretta l’estrema pericolosità di contrarre tale tipologia di virus.
Quel che spaventa la medicina, ma che invece sembra non destare il giusto timore nei ragazzi, è il periodo di latenza: si tratta di un virus che rimane per anni senza che il soggetto possa rendersene conto, ma che poi può venire allo scoperto e causare danni, purtroppo a volte irreversibili”.
Quindi, dottoressa, da qui nasce l’importanza di una buona campagna di prevenzione, oltre che di mera informazione?
“La Asl di Frosinone è già attiva 360 gradi; tutti gli adolescenti, dopo il compimento dell’undicesimo anno di età, vengono contattati con una lettera informativa ed invitati a sottoporsi alle due dosi di vaccinazioni previste. Peraltro assolutamente gratuite”.
C’è una sostanziale differenza tra la popolazione femminile e quella maschile, visto che da qualche anno il vaccino è somministrabile anche ai ragazzi?
“Sì. Le ragazze sono più virtuose, nel senso che si sottopongono più facilmente a tale tipo di vaccinazione. L’età è tra le più critiche, ragion per cui la famiglia gioca un ruolo fondamentale nell’incitare i proprio figli a vaccinarsi contro il papilloma virus”.
Se dovesse ora lanciare un appello ai ragazzi tra gli 11 e i 14 anni di età, cosa direbbe loro?
“Che il virus non fa sconti a nessuno. Può capitare, come non può capitare. E, considerato che la medicina, in questo specifico caso, ci viene in aiuto, non trovo ragione alcuna per non approfittare dell’opportunità che è consentita loro. Non tutti hanno avuto la fortuna di poter bloccare il virus, c’è chi ci combatte contro da anni”.
Quindi, perché non affidarsi alla medicina?
“L’indolenza, in questo caso, è solo una nemica”.