Vincere a livello mondiale è sempre estremamente complicato, specie in discipline che hanno una base particolarmente ampia. L’atletica, non senza ragione ribattezzata regina degli sport olimpici, ha il più elevato numero di agonisti, persino superiore a quello del celebratissimo football, da noi calcio. A rendere quasi impossibile la conquista di medaglie olimpiche e mondiali c’è poi l’egemonia di alcuni atleti in determinati settori, per doti che madre natura ha distribuito più generosamente. Nel fondo è di tutta evidenza che i nordafricani abbiano caratteristiche fisiche che li rendono più leggeri nella corsa e pertanto più adatti a sforzi prolungati.
Ne consegue che le gare dai 5000 metri alla maratona siano difficilmente ad appannaggio di atleti che non abbiano quelle prerogative muscolari. Discorso analogo va fatto per la velocità, nel cui ambito gli atleti caraibici e nordamericani hanno mostrato negli ultimi 40 anni un’evidente attitudine, che li pone automaticamente ai vertici della specialità. Eppure, in epoca non troppo recente, tra coloro che seppero infrangere lo strapotere dei fondisti africani sulle lunghe distanze, ci furono anche e soprattutto gli atleti italiani: Poli, Bordin e Baldini i nostri mitici maratoneti capaci di fregiarsi di allori mondiali e olimpici. Lo scorso anno però l’abbiamo combinata ancor più grossa, perché alle Olimpiadi siamo andati a prenderci le due medaglie d’oro della velocità pura, quelle dei 100 e della staffetta 4×100. Un’impresa titanica che ha spiazzato tutti, stampa specializzata, bookmakers e semplici appassionati.
La “rivoluzione di Tokio” ha in Marcell Jacobs il suo alfiere più celebrato, visto che lui oltre alla gara a squadre con il testimone viaggiante è andato a vincere anche la prova individuale.
Resta un dilemma irrisolto quale delle due vittorie sia da considerare più incredibile, perché un uomo che sfida la logica e la recente tradizione può esserci, quattro è meno probabile. E allora, diciamolo forte che abbiamo i migliori tecnici del mondo e, per fortuna, anche degli atleti straordinari, come il campione olimpico citato, l’altra stella della velocità Filippo Tortu e i bravissimi Fausto Desalu e Lorenzo Patta.
Se vincere è immensamente difficile, confermarsi è però un’impresa ancor più ragguardevole ed ora tutti ci attendono al varco: statunitensi, giamaicani, britannici e francesi, ansiosi di ristabilire le gerarchie. A Tokio però, come tutti gli appassionati ben sanno, non ci siamo limitati a prenderci i due ori veloci, ma abbiamo esagerato fino a 5 metalli preziosi, grazie alla bella favola di Gianmarco “Gimbo” Tamberi, volato sull’oro a dispetto di un infortunio grave che sembrava persino pregiudizievole della sua carriera di atleta di vertice del salto in alto. E, stavolta in linea con una tradizione specifica vincente, abbiamo preso anche i due ori della 20 km, tanto in campo maschile che in quello femminile. Artefici dell’impresa Stano e Palmisano, una rima tutta d’oro per una disciplina faticosa che ha sempre visto gli azzurri in prima linea.
Il 2022 sarà, negli auspici della FIDAL, l’anno delle conferme, perché il movimento segnala altri giovani emergenti, leggi la figlia d’arte Larissa Iapichino e il quattrocentista degli ostacoli Sibilio, che potrebbe rinverdire i fasti di Fabrizio Mori, del quale insegue il record italiano. I mondiali indoor sono alle porte, poi toccherà alla stagione all’aperto. Siamo fiduciosi, pur consapevoli che gli esami, come diceva il grande Eduardo, non finiscano mai.