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La fine delle illusioni e quelli che fanno finta di nulla

Massimo Pizzuti
In pochi giorni è stato scoperto il “bluff” sulla Stazione Tav ed è esplosa la bomba sociale per la crisi di Stellantis. Eppure molti amministratori locali vanno avanti con le solite e inutili “ricette” pur di non perdere il ruolo. Ma si rendono conto che non c’è niente di concreto? Intanto il rapporto del Censis descrive un Paese che galleggia.
Dicembre 8, 2024

La settimana che si chiude oggi è stata caratterizzata dalla fine delle illusioni. Innanzitutto per la realizzazione della Stazione Tav. In sede di commissione regionale abbiamo tutti preso atto che non ci sono né finanziamenti né progetti. Tutto è fermo all’inaugurazione “farsa” di cinque anni fa di due “fermatine” del Treno ad Alta Velocità, una a Frosinone e una  Cassino. Due volte al giorno, tra andata e ritorno naturalmente. Peraltro in orari improbabili. Nessuno peraltro sente il bisogno di ricordare che nel tratto che va da Sgurgola a Cassino il Frecciarossa viaggia come un treno normale. I binari non sono attrezzati per l’Alta Velocità (sic).
Eppure alla fine non è successo nulla. Amministratori regionali, provinciali, comunali, rappresentanti di enti intermedi, associazioni di categoria e istituzioni hanno continuato a parlare di passi avanti e di volontà di procedere lungo la strada intrapresa. Ma ci rendiamo conto che Ferrovie dello Stato ha fatto riferimento ad uno studio di pre-fattibilità senza neppure farlo vedere per poterne dibattere?
Ci rendiamo conto che per effettuare uno studio di fattibilità che possa sbloccare la situazione occorre dimostrare di poter diventare “attrattivi” in termini di bacino di utenza? Indicando le risorse con le quali realizzare l’infrastruttura? Se non si coinvolge il Governo seriamente, dove si pensa di arrivare?
Peraltro il clima di unità che si era costruito prima dell’audizione in commissione regionale potrebbe venir meno. Il sindaco Enzo Salera continua a ritenere che la Stazione Tav possa essere realizzata a Cassino e si muove in questa direzione. Quando l’unico punto fermo sul quale tutti hanno concordato è che l’area individuata non può non essere quella tra Ferentino e Supino.
A rendere lo scenario meno inquietante c’è solo una dichiarazione del presidente della Regione Francesco Rocca ma nessuno ha provato a capire a cosa faceva rifermento quando parlava dei cento milioni di finanziamento. A un impegno del Governo per la Regione Lazio?
Situazione esplosiva nel cassinate per la crisi di Stellantis che ha travolto anche lo stabilimento di Piedimonte, l’indotto e tante aziende che svolgono servizi in quel circuito. Tanti licenziamenti e il peggio deve ancora arrivare. La mobilitazione del territorio è forte, legittima e perfino giusta. Ma la partita Stellantis si gioca altrove. Il Governo Meloni proverà ad avere risposte dagli Elkann sul mantenimento della produzione e dell’occupazione. Presupposti fondamentali per prorogare gli ammortizzatori sociali. Pure in tal caso però, attenzione a non farsi troppe illusioni. Sorprende che non venga avviata una riflessione vera su ipotesi di riconversione del sito, come suggerito dal commissario del Consorzio industriale Raffaele Trequattrini.

LA SINDROME ITALIANA

Il Censis parla di “sindrome italiana”. Descrivendola così nel preambolo del suo Rapporto (il 58°): “La sindrome italiana è la continuità nella medietà, in cui restiamo intrappolati: né capitomboli rovinosi nelle fase recessive, né scalate eroiche nei cicli positivi. Ma nasconde un’insidia. Se il ceto medio si sfibra (i redditi sono inferiori del 7% rispetto a venti anni fa) fermenta l’antioccidentalismo e si incrina la fede nelle democrazie liberali, nell’europeismo e nell’atlantismo: il 66% degli italiani incolpa l’occidente dei conflitti in corso e solo il 31% è d’accordo con il richiamo della Nato sull’aumento delle spese militari. Si infiamma la guerra delle identità sessuali, etnico-culturali, religiose, in lotta per il riconoscimento”.
L’Italia galleggia, hanno sintetizzato molti “media”. In realtà va alla deriva, anche se non affonda, almeno per il momento. Un’analisi, quella del Censis, che va studiata. Non ideologizzata o strumentalizzata. Prende in considerazione gli ultimi venti anni e quindi chi si è affrettato a criticare il Governo Meloni ha fatto una brutta figura. Anche perché negli ultimi due anni alcuni parametri (per esempio il numero degli occupati e il turismo estero) sono in aumento. Ma non è questo il punto. Nei venti anni dal 2003 al 2023 il reddito disponibile lordo pro-capite si è ridotto in termini reali del 7%. E nell’ultimo decennio (tra il secondo semestre del 2014 e il secondo trimestre del 2024) anche la ricchezza netta pro capite, come somma delle attività reali e finanziarie, è diminuita del 5,5%. In questo quadro è colata a picco la fiducia: l’85,5% degli italiani è convinto che sia molto difficile risalire nella scala sociale. C’è inoltre quello che viene definito l’imbuto dei patrimoni: le famiglie della “generazione silenziosa” (i nati prima della Seconda Guerra Mondiale) e del baby boom (i nati tra il dopoguerra e i primi anni ’60) detengono il 58,3% della ricchezza netta. Con un patrimonio oscillante tra i 280.000 e i 360.000 euro. Queste due categorie, se considerate insieme, rappresentano il 51,3% delle famiglie totali. Poi c’è la generazione X, con i capifamiglia nati tra il 1965 e il 1980: ricchezza media di 300.000 euro. Sono il 33% del totale. Mentre le famiglie “Millenial” o generazione X rappresentano l’8,7% del totale e contano su una media di 150.000 euro. Una fotografia indicativa.
A sorprendere molto è l’ignoranza diffusa: il 55,2% risponde in modo errato o non sa che Mussolini è stato destituito e arrestato nel 1943, il 30,3% non sa dire chi era Giuseppe Mazzini, il 30,3% non conosce l’anno dell’Unità d’Italia, il 28,8% ignora quando è entrata in vigore la Costituzione. Si potrebbe continuare per molto. Il fatto è che il gap culturale e scolastico si riflette su tutto il resto. Da una parte la crisi inarrestabile del ceto medio (per decenni vero propulsore del Paese), dall’altra la povertà di conoscenze, di formazione, di competenze. Non è un caso che ormai da anni i nostri giovani migliori vanno a studiare all’estero, anche per perfezionare il ciclo accademico effettuato in Italia.
Ad essere stata terremotata è la cultura del merito, quella che spingeva la classe operaia a fare qualunque sacrificio per far studiare i figli. Perché l’ascensore sociale funzionava e attraverso lo studio e l’impegno anche chi proveniva da una famiglia di basso o medio reddito poteva diventare medico, architetto, ingegnere, avvocato. Oggi una scalata del genere è proibitiva. Il fallimento della globalizzazione ha lasciato sul campo una società impaurita, impoverita, indebolita, sfibrata, sfiduciata. Una società nella quale i genitori immaginano un futuro peggiore per i propri figli. Si è cercata una risposta demagogica e rancorosa: l’antipolitica, il dagli alla casta, l’abolizione del merito ai nastri di partenza. Invece è stata la Politica (con la P maiuscola) dei decenni passati a dare all’Italia il boom economico, il servizio sanitario nazionale (che funzionava), l’industrializzazione, il lavoro. L’astensionismo dilagante alle urne è il risultato di una deriva culturale e di approccio. Servono politici bravi, onesti e competenti. Non pifferai magici.

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