Camaleontico nel bene e nel male, il Frosinone targato Fabio Grosso non sa più come gestire le gare esterne. Postosi all’attenzione del nostro calcio professionistico per una prima parte di stagione in cui puntualmente dissipava allo Stirpe il succulento bottino esterno, ora ha clamorosamente invertito la tendenza: di colpo implacabile fra le mura amiche, balbetta oltre ogni immaginazione in casa d’altri.
Il risultato è lo stesso: una classifica che non può dirsi deludente, ma nemmeno esaltante. Attaccato alla zona playoff negli ultimi vagoni utili, fa e disfà come un personaggio in cerca d’autore, lasciando a chi lo guarda sensazioni contrastanti. Bello e persino pratico quattro giorni or sono, di nuovo svagato e sciupone a Crotone, che fa rima ma non felicità. Quale sia il suo vero volto probabilmente non lo sa, e in questa ricerca l’undici giallazzurro rischia di bruciare energie nervose in eccesso.
Allo Scida l’inizio è stato persino impetuoso, benché non premiante per quella che pare la sola costante della stagione: i gol divorati. Se Canotto e compagni avessero esibito una maggiore precisione nelle conclusioni talvolta addirittura agevoli, ora saremmo qui a dissertare del primato e delle sue logiche onerose. Invece il Frosinone un primato ce l’ha e suo malgrado sembra tenerselo ben stretto: quello delle occasioni facili gettate alle stelle, ieri stelle impietose di un cielo di marzo. Così, superato lo spavento e visto che il mostro ciociaro appariva meno brutto di quanto fosse lecito attendersi, il disperato Crotone ha issato le vele della sua disperazione, navigando indisturbato verso una vittoria forse inutile, di certo insperata.
Trovato un rigore per un’uscita improvvida di Minelli, preferito di nuovo a Ravaglia ma stavolta incapace di dar ragione al suo tecnico attraverso la prestazione, il team calabrese ha rintuzzato senza troppo patire le velleità di rincorsa dei giallazzurri. Poco precisi nelle geometrie, Cicerelli e compagni hanno cercato, senza trovarla, la giocata individuale che potesse cambiare la storia del match. E così nessuno si è stupito troppo quando ai primi vagiti della ripresa la montagna da scalare è diventata per il Frosinone una 8000 metri. Personaggi e interpreti: lo scaltro Golemic in cerca di gloria offensiva, la frastornata difesa canarina nell’atto di riguadagnare un assetto plausibile. Ai più è parso in tutta la sua evidenza un verdetto anticipato.
E i più hanno visto giusto. Stavolta niente rivoluzioni, come nei playoff col Cittadella quando lo 0/2 fu trasformato in 3/2. Stavolta niente sussulti, solo un’ostinata ricerca di quel lampo che potesse turbare il serafico cielo dello Scida. Al Crotone la terza vittoria, per una speranza timida come una primula; al Frosinone zero in condotta e zero nel tabellino dei gol all’attivo, senza che Festa abbia fatto gli straordinari. Ci ha provato Gatti, ma neanche lui ha avuto la freddezza necessaria. Con più abilità ci ha provato Zerbin, il cui tiro a giro ha mandato la sfera contro la traversa prima e sui piedi frenetici di Canotto poi. Niente da fare, una volta di più.
Gli esami di riparazione ci saranno sabato, al cospetto del Benevento. E sbagliare non si può più.