Il PD e la sindrome della vittoria di Pirro

I numeri e le tessere (più di ottomila) contano fino ad un certo punto. Allo stesso modo il successo al congresso rischia di essere inutile se i leader del Pd provinciale non costruiranno una piattaforma unitaria. Agganciandosi al treno di Daniele Leodori e Claudi Mancini.

 

Non è una questione di numeri e neppure di tessere, anche se in provincia di Frosinone il Partito Democratico è riuscito a sottoscriverne più di ottomila. I punti sul tavolo sono sostanzialmente due: la consapevolezza di essere classe dirigente e il “modello” che Daniele Leodori e Claudio Mancini hanno scelto per i Dem nel Lazio.
Il quadro è questo: Sara Battisti è la consigliera regionale del territorio (la più alta in carica sul piano della rappresentanza istituzionale). La Battisti è anche esponente di spicco dell’area Rete Democratica, quella che fa riferimento a Claudio Mancini.
Francesco De Angelis (AreaDem) è presidente regionale del Pd, Antonio Pompeo (Energia Popolare) fa parte della segreteria politica. Insomma, hanno un ruolo e un peso specifico non di secondo piano. Inoltre, meno di un mese fa Daniele Leodori, segretario del partito nel Lazio, ha “firmato” un’operazione di blindatura interna che ha portato all’ingresso nella segreteria di Claudio Mancini, deputato e autentico Cardinale Richelieu nelle dinamiche romane. Mancini è l’allenatore-regista dell’intera squadra che ruota attorno al sindaco di Roma Roberto Gualtieri.
Ed è proprio la conferma di Gualtieri in Campidoglio la priorità del Partito Democratico nel Lazio. La mossa di Leodori tende ad anticipare anche uno scenario futuro altamente probabile: il via libera al disegno di legge che prevede, nei Comuni con oltre 15.000 abitanti, la vittoria al primo turno del candidato sindaco che sfonda il muro del 40% dei consensi. Senza la necessità del ballottaggio. Per Giorgia Meloni una vittoria a Roma avrebbe un “sapore” particolare. Ma non è tutto, visto che c’è chi non esclude che le elezioni politiche possano essere anticipate dall’autunno alla primavera del 2027. In quel caso si andrebbe alle urne contemporaneamente alle amministrative. E quindi al Comune di Roma.
Dicevamo delle prospettive del Pd provinciale. Al congresso sarà sfida a due per la segreteria. Da un parte Luca Fantini, appoggiato da Rete Democratica di Sara Battisti e da Energia Popolare di Antonio Pompeo. Dall’altra Achille Migliorelli, sostenuto da AreaDem di Francesco De Angelis e dal Collettivo Parte da Noi di Danilo Grossi. Ci sarà un vincitore e un vinto, ma non è questa la piattaforma sulla quale la Federazione provinciale del Pd può permettersi di ragionare. La posta in palio vera è quella di una gestione del partito che non potrà che essere condivisa, se non unitaria. Avendo come stella polare l’assetto che hanno voluto Daniele Leodori e Claudio Mancini. In caso contrario la governance locale dei Dem continuerà a non toccare palla nelle candidature eleggibili che contano davvero. Ci riferiamo a quelle di Camera e Senato: sia nel 2018 che nel 2022 gli esponenti locali non hanno potuto fare altro che… portare l’acqua ai big nazionali e regionali. Per non parlare delle europee: l’ultimo eletto è stato Francesco De Angelis. Correva l’anno 2009.
Alle regionali i risultati sono (parzialmente)diversi perché a fare la differenza, oltre ai voti, sono le preferenze.
Infine c’è il livello locale. Nei grandi centri il Pd negli ultimi tempi ha vinto soltanto a Cassino (Enzo Salera) e Ceccano (Andrea Querqui). A Frosinone, il capoluogo, ha messo in fila tre sconfitte consecutive e non c’è alcun segnale di una possibile e netta inversione di tendenza. A Sora non c’è stata altra scelta se non quella di “agganciarsi” al treno di Luca Di Stefano (con una civica). Ad Alatri, Anagni e Fiuggi le sconfitte sono state ingestibili sul piano politico. Mentre a Veroli e Ferentino si è scelta la formula di una coalizione trasversale ampia e con forti caratterizzazioni civiche. Annacquando inevitabilmente proprio il “profilo” Democrat.
Ecco perché, al di là della “conta” nei 63 circoli che dovranno indicare i delegati, il Pd provinciale avrebbe bisogno di confrontarsi su una piattaforma di dibattito sulle strategie, sui programmi, sulle alleanze. Per fare questo è necessario che i leader guardino al futuro, al dopo-congresso. Evitando di cedere alle rispettive tifoserie. Sembrerebbe un percorso obbligato. Ma il condizionale è quanto mai d’obbligo. I precedenti non sono incoraggianti: è dimostrato che le vittorie di Pirro (inutili) non hanno alcun peso. Politico, s’intende.