Negli anni 70 una squadra di provincia stupì il mondo del calcio, assurgendo a gloria nazionale ed affacciandosi perfino sul palcoscenico europeo. Parliamo del Cesena, che approdò in massima serie nel 73 e riuscì persino a chiudere una stagione al sesto posto, qualificandosi per la Coppa UEFA.
Di quel Cesena era uomo simbolo e giocatore prezioso il terzino Giampiero Ceccarelli, che dal 67, giorno dell’esordio in maglia bianconera, all’85, ha collezionato 591 gare con la stessa maglia. Boranga, Ammoniaci, Ceccarelli… Erano i primi tre nomi della formazione romagnola che gettò il guanto di sfida alle grandi del nostro calcio, prendendosi grandi soddisfazioni.
A Ceccarelli, che è rimasto nel mondo del calcio come allenatore prima e come osservatore della Nazionale poi, abbiamo chiesto se delle 591 gare ne ricordi una in particolare, da porre sul più alto gradino del podio dei ricordi.
“Scelgo senza dubbio la partita che ci consentì di approdare per la prima volta in A. Giocavamo contro il Mantova e la vittoria per 2/1 ci diede la certezza della promozione. Quello è stato il giorno più bello della mia vita da calciatore”.
Oggi i giocatori simbolo non ci sono più. In che misura ritieni che siano responsabili di questo i procuratori e la dimensione aziendale dei club?
“Con l’avvento dei procuratori cambió un po’ tutto il sistema calcio. Era più semplice trovare una collocazione e situazioni pecuniarie più vantaggiose. Anch’io ebbi la possibilità di cambiare casacca, ma rifiutai di andare prima alla Sampdoria e successivamente alla Roma. Il sogno di ogni calciatore è la serie A, ma arrivarci con la squadra della propria città è il massimo”.
Hai mai pensato alle possibilità che ti avrebbe spalancato l’appartenenza a un club metropolitano?
“Aver raggiunto la serie A con il Cesena era stato per me toccare il cielo con dito. Restammo in A per quattro stagioni e decisi che non avrei mai cambiato casacca. Volevo vivere a Cesena, con la mia famiglia, e difendere quei colori fino alla mia ultima partita. Ho tanti bei ricordi di quel periodo. Io da ragazzino ero tifoso della Juventus e poterci giocare contro mi sembrava una cosa incredibile. Ricordo che un anno vincemmo 2/1 a Cesena e pareggiammo 3/3 a Torino. Altre volte perdemmo, ma quella era la Juventus”.
Se tu potessi cambiare un risultato delle tante gare giocate, quale partita sceglieresti?
“Quella con il Magdeburgo, squadra della allora Germania dell’Est. Perdemmo 3/0, ma fu un risultato ingiusto e la direzione di gara fu per noi estremamente penalizzante. A Cesena provammo la rimonta e vincemmo per 3/1, giocando un gran match. Se potessi cambiare la storia, cambierei quel match di andata di Coppa UEFA”.
Da osservatore azzurro hai contribuito al successo nel mondiale 2006. Ci credevate, visto anche il “terremoto” di quell’estate travagliata?
“Onestamente no. Però strada facendo prendemmo coscienza delle nostre potenzialità e cominciammo a crederci un po’ tutti”.
Cosa auspichi per il futuro del calcio?
“Il mio desiderio è che le squadre italiane tornino a valorizzare i settori giovanili e che da essi possano attingere per la prima squadra. Ricordo che il mio Cesena giocò con un undici che aveva ben sette giocatori provenienti dalle giovanili. Non è un’utopia, ma una concreta speranza per un futuro più sereno”.
La chiacchierata con Giampiero Ceccarelli, profeta in patria, giocatore prezioso e uomo di grande spessore, si chiude qui. La sua passione genuina per il calcio prosegue e disegna le pagine di una bella favola dei nostri giorni.