24 settembre 2022. Segnatevi questa data sul calendario: è il D day della legislatura parlamentare. Saranno trascorsi 4 anni, 6 mesi e un giorno dall’insediamento di senatori e deputati, quindi scatterà il diritto al trattamento pensionistico. Fino ad allora nessuno si spingerà ai limiti dello scioglimento anticipato delle Camere, per un motivo semplice: ogni parlamentare ha versato 50.000 euro di contributi che, in caso di voto anticipato, andrebbero persi perché non possono essere riagganciati a quelli relativi ad altre attività lavorative. Ma dopo il 24 settembre si potrà… osare. Dal 2012 non c’è più l’assegno vitalizio che spettava ai parlamentari al termine del mandato. E’ stato sostituito con un trattamento pensionistico simile a quello degli altri lavoratori. Simile, ma non identico. Già, perché per maturare il diritto alla pensione è necessario essere stato in carica “soltanto” per 4 anni, 6 mesi e un giorno. Un requisito che riguarda i neoeletti della XVIII legislatura, cioè il 68% dei deputati (427) e il 73% dei senatori (234). Quindi c’è una determinazione forte a non interrompere la consiliatura prima del 24 settembre 2022, anche perché la riduzione del numero dei parlamentari da 945 a 600 abbassa drasticamente la possibilità di essere rieletti.
Rumors fantascientifici, ma non troppo. Al Pd potrebbe piacere… votare a novembre!
Nei corridoi di Palazzo Madama e Montecitorio si parla di uno scenario ai limiti della fantascienza. Quindi possibile secondo le logiche della politica italiana. L’ultimo anno del Governo di Mario Draghi sarà zeppo di strappi e fibrillazioni. Gli antipasti sono già stati serviti: la posizione della Lega e di Forza Italia sulla riforma del Catasto, le barricate dei Cinque Stelle sull’aumento delle spese militari. Il Partito Democratico è diventato da anni il perno della stabilità di Governo: non importa se perde o se vince le elezioni oppure quale
percentuale abbia, al Governo resta oppure ritorna dopo brevi parentesi. Stavolta però le elezioni dovrà vincerle e il centrodestra ha il vento nelle vele dei sondaggi (trainato da Fratelli d’Italia).
Inoltre c’è il precedente delle politiche del 2013, quelle della “non vittoria” di Pierluigi Bersani. Il Pd pagò un prezzo elettorale carissimo nel sostegno all’esecutivo di Mario Monti. Enrico Letta osserverà attentamente quello che succederà in estate e soprattutto in previsione del varo della legge Finanziaria.
Se la situazione dovesse mettersi male, il Pd potrebbe provare la carta dello scioglimento anticipato delle Camere. Si voterebbe entro la fine dell’anno. Inoltre potrebbe esserci pure un altro vantaggio. Nel 2023, oltre alle politiche, sono in programma le regionali nel Lazio e in Lombardia. Votare insieme per politiche e regionali rappresenterebbe un ulteriore rischio per i Democrat, quello cioè di perdere anche il Lazio.
Tanto più che nel 2018 Nicola Zingaretti vinse come presidente con il 32,93% (1.018.736 preferenze), ma il centrodestra ottenne la maggioranza nel voto di lista con il 36,37% (922.664 voti). Senza la candidatura “autonoma” di Sergio Pirozzi, probabilmente avrebbe vinto Stefano Parisi.
Il nodo è rappresentato dal Movimento Cinque Stelle. Nel 2018 Roberta Lombardi prese 835.137 voti, il 26,99%. Adesso è assessore della giunta Zingaretti, ma i pentastellati non hanno più quelle percentuali. Inoltre, per uno scenario da elezioni politiche anticipate, pochi mesi prima delle regionali in Lombardia e nel Lazio, servirebbe una maggioranza parlamentare. Il Pd può trovarla solo con i Cinque Stelle, cercando di rimettere insieme la coalizione giallorossa che ha sostenuto il Conte bis.
Non è semplice, anche perché Giuseppe Conte si sta smarcando. Al tirar delle somme: finora nessuno ha pensato di interrompere anticipatamente la legislatura per non mettere a rischio il trattamento pensionistico. Potenza della “cadrega”. Dal 24 settembre, invece, possibile tana libera tutti. Ma con gli scenari della guerra e della pandemia siamo davvero ai limiti della fantascienza. Se poi nel ragionamento entrano pure le strategie per le regionali del Lazio e della Lombardia, allora c’è poco da ragionare sul senso di responsabilità. Però l’ipotesi c’è. Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia potrebbero trovarsi nella situazione di essere loro la garanzia della stabilità, staccando definitivamente il biglietto per la piena legittimazione in Europa.
In Provincia arrivano le nuove commissioni. Lega-Pd: l’asse c’è e si vede.
Ieri abbiamo scritto che dopo oltre cento giorni dalle elezioni, alla Provincia non si era ancora provveduto a insediare le commissioni consiliari. Adesso il tema è all’ordine del giorno della seduta del Consiglio convocata per giovedì 14 aprile. Le commissioni sono 4: lavori pubblici, sviluppo e tutela del territorio, programmazione e regolamenti, partecipate della Provincia. Gli assetti erano già stati disegnati, si tratta di fare piccoli aggiustamenti. Lo schema per le presidenze delle stesse commissioni è questo: 2 al Pd (Gino Ranaldi e Alessandro Mosticone i favoriti), 1 al Polo Civico (Alessandro Rea),1 alla Lega (Gianluca Quadrini, nel frattempo diventato anche capogruppo). Impossibile negare un asse di fatto Pd-Lega nel governo della Provincia. Fratelli d’Italia ha rifiutato l’offerta di avere la presidenza di una commissione e aveva chiesto alla Lega di fare altrettanto. Ma il messaggio è andato a vuoto.