Diciamo che è stata una svista. Diciamo che è stato frettolosamente controllato un volume non aggiornato del Testo unico sugli enti locali (Tuel). Diciamo pure, che il ministero degli Interni continua a mantenere ben in evidenza pareri “vecchiotti” e superati dalle nuove norme (che traggono in inganno – basta leggere alcuni recentissimi pareri sui siti specializzati in rete – anche i migliori professionisti). Fatto sta, che il primo scontro politico, a distanza e a colpi di comunicati stampa, per le comunali di Arpino lo vince Vittorio Sgarbi, messo nel mirino da Gianluca Quadrini che ha presentato un esposto alla Commissione elettorale mandamentale, segnalando la possibile ineleggibilità del critico d’arte e sottosegretario alla Cultura alla carica di primo cittadino di Arpino, poiché già sindaco in carica di Sutri, nella Tuscia.
I 15 minuti di gloria su Corriere e Repubblica
La notizia, che il “presidente del consiglio provinciale” (transeat) aveva fatto ricorso alla commissione elettorale perché Sgarbi non sarebbe stato candidabile alla carica di sindaco di Arpino, ha raggiunto anche i media nazionali, con tanto di articoli su Repubblica e Corriere della Sera. Capita quando c’è in mezzo il critico d’arte, quello del Capra! Capra! Capra!
Come detto, nel ricorso, Quadrini ha segnalato che Sgarbi è incandidabile in quanto non si è preventivamente dimesso dalla carica di sindaco della cittadina viterbese, circostanza che avrebbe comportato l’esclusione di tutta la lista dalla competizione. E’ stato citato il Tuel, l’articolo 60, il comma 3.
A stretto giro è arrivata la replica di Sgarbi che ha accusato Quadrini di fare ‘ammuina’ con un “patetico espediente per confondere gli elettori” e di non conoscere nemmeno la legge che – ha detto il sottosegretario – è chiarissima: “la condizione di ineleggibilità non ha effetti nei confronti del sindaco in caso di elezioni contestuali nel comune nel quale l’interessato è già in carica (Sutri) e in quello in cui intende candidarsi (Arpino)”.
Arpino, la svista e il vecchio testo unico
Un’altra cosa va detta: fino al 2015, la norma era esattamente come sostiene Quadrini. Chi era già sindaco o consigliere in un comune, per potersi candidare in un altro comune, doveva dimettersi dalla carica entro la data della presentazione delle liste, altrimenti sarebbe divenuto “ineleggibile”. L’eleggibilità è un requisito non sanabile ‘ex post’ (cioè dopo l’elezione, come lo è invece l’incompatibilità) e deve essere posseduto per tutta la durata della campagna elettorale.
Ma va anche detto che l’organo competente a dichiarare l’ineleggibilità (di un sindaco o di un consigliere) è solo il consiglio comunale. Quindi, comunque, anche fino il 2015, un sindaco in carica poteva candidarsi, salvo poi essere rispedito a casa dalla massima assise appena insediatosi, per tornare al punto di partenza.
Nel 2015, però, la normativa è cambiata: all’articolo 60, comma 3, del Tuel è stata aggiunta alla fine una bella frasetta: in sostanza l’ineleggibilità per gli amministratori comunali in carica non vale se si tratta dello ‘scambio’ tra due comuni che vanno contestualmente al voto. Quindi, poiché si vota sia ad Arpino che Sutri, Sgarbi non rischia l’ineleggibilità.
Una modifica che nasce dalle manovre di palazzo
La modifica dell’articolo 60, comma 3, è stata decisa nell’ambito della legge di conversione di un decreto legge che il governo Renzi aveva emanato per fronteggiare situazioni urgenti degli enti territoriali (in realtà tagli di costi e spese e patto di stabilità). Nel Decreto, non c’era alcuna traccia di modifiche alle condizioni di eleggibilità e il testo era molto asciutto. Le cose sono cambiate quando il testo è arrivato al Senato per essere convertito in legge: una pioggia di emendamenti e articoli bis, ter, quater, ecc. ecc. che provavano a far passare tutto e il contrario di tutto.
Alcuni emendamenti vengono approvati in commissione a Palazzo Madama. Tra questi c’è un sub-emendamento ad un emendamento del Governo presentato dal senatore Giorgio Santini del Pd (divenuto poi il comma 13-sexies del bell’ingrassato – dalle aggiunte – articolo 8) che, approvato, cambia le carte in tavola e consente il salto della quaglia al sindaco di un comune che va al voto, concedendogli di potersi candidare in un altro comune dove contestualmente si vota. Cosa che non può fare un sindaco che ha davanti a sé anche un solo ulteriore giorno di mandato. La norma modificata giunge in Aula ma i tempi stringono e viene posta la questione di fiducia: ormai è fatta. Stessa cosa accade alla Camera: l’art. 60, comma 3 ha una frase in più… e non di poco conto.
Arpino corsa a tre
Come noto, a sfidarsi per la fascia tricolore, ad Arpino corrono in tre: Vittorio Sgarbi, critico d’arte, personaggio televisivo, sottosegretario alla Cultura e un curriculum politico che fa strage d’inchiostro. La sua candidatura è appoggiata dalla maggioranza uscente guidata negli ultimi due mandati dal sindaco Renato Rea.
C’è poi, Gianluca Quadrini, consigliere provinciale con delega ai lavori del Consiglio, consigliere comunale di minoranza uscente e una lunga attività politica alle spalle, con incarichi politici e amministrativi importanti, in Enti montani e Provincia. Quadrini è una certezza in ogni competizione elettorale. Non solo arpinate. Lui c’è e anche i consensi non mancano. Non per vincere magari, ma per essere eletto (o far eleggere) e continuare a poter muovere pezzi sulla scacchiera politica provinciale e ultra-provinciale.
C’è infine, Andrea Chietini, anche lui esperienze politiche e amministrative pregresse ad Arpino, dove è presidente del consiglio comunale. La sua lista è nata da una sintesi con quella annunciata da Niccolò Casinelli, che fino a tre settimane si dava per candidato sindaco al 100% con tanto di interviste e comunicati stampa di lancio. Invece – parrebbe dopo una cena con illustri commensali -, è nella lista di Chietini, in corsa per il ruolo vicario, se Andrea sarà sindaco.