Il Movimento Cinque Stelle si prepara alla Costituente del 23 e 24 novembre dopo il ridimensionamento record alle regionali di Emilia Romagna e Umbria. Da un lato l’ombra del fondatore Beppe Grillo, dall’altro l’ultimatum di Giuseppe Conte, che si è detto pronto a trarre le conseguenze qualora non dovesse passare la sua impostazione. Ma intanto ci sono i risultati, in picchiata. In Emilia Romagna il Movimento è al 3,6%: un “cespuglietto” del Partito Democratico nell’ambito della valanga rossa di Michele De Pascale. In Umbria Conte ha avuto il coraggio di salutare il 4,7% come un risultato eccezionale perché decisivo per la vittoria di Stefania Proietti. Da quelli che pensavano di aver abolito la povertà e di aver rilanciato il Paese con Superbonus e Reddito di cittadinanza era forse logico aspettarsi di più. Giuseppe Conte è sotto attacco: da parte di Chiara Appendino, ma pure da Roberto Fico, Stefano Patuanelli e Alessandra Todde. Probabilmente nessuno sarà in grado di dare la spallata, ma il punto è un altro: quale futuro politico per i Cinque Stelle? Stare nel campo progressista significa ridursi ad un ruolo di secondo o terzo pieno nei confronti del Pd. La posizione autonoma e indipendente, che ha portato il Paese ad un periodo di tripolarismo, era stata costruita da Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo, con il contributo dei vari Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista, Paola Taverna e tutti quelli della prima ora. Che adesso non ci son più. Esiste esclusivamente il partito di Giuseppe Conte, che semplicemente vuole restare in politica. Chiara Appendino potrebbe provare a contendergli la leadership, ma per fare ciò deve mettersi in discussione fino in fondo e andare allo scontro. Proprio alla Costituente. Non sembrano esserci i presupposti. In provincia di Frosinone il Movimento Cinque Stelle non ha mai inciso alle comunali, alle provinciali, negli enti intermedi. Alle politiche ha cavalcato l’onda lunga del voto di opinione. Ma si sono letteralmente perse le tracce di ex parlamentari come Luca Frusone ed Enrica Segneri. C’è Ilaria Fontana, fedelissima di Giuseppe Conte. A Frosinone,il capoluogo, c’era stata la stagione dell’effervescenza nel 2017, con Christian Bellincampi candidato a sindaco. Poi è svanita anche quella. Mai il Movimento si è radicato nel territorio.
Le regionali di Umbria ed Emilia Romagna hanno ulteriormente ridimensionato la Lega. Il malumore nei confronti di Matteo Salvini è ormai enorme e capiremo presto se Luca Zaia e Massimiliano Fedriga cercheranno una soluzione diversa per la segreteria. Il boom di preferenze personali del generale Roberto Vannacci alle europee ha paradossalmente reso ancora più visibili le difficoltà del Carroccio. Il tentativo di superare Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni a destra fallisce sistematicamente. Mentre al “centro” il Carroccio è chiuso da Forza Italia di Antonio Tajani. Questo doppio fronte sta schiacciando la Lega ovunque. In provincia di Frosinone il partito è ormai marginale. Dappertutto. L’assessore regionale Pasquale Ciacciarelli è sotto attacco da mesi sul tema della verifica e sulla cessione della delega all’urbanistica. Dai livelli locali del partito non si è alzata una sola voce. Nel Lazio la Lega regge grazie al carisma e all’intelligenza politica del sottosegretario Claudio Durigon. In Ciociaria si notano enormi difficoltà. Nel ruolo di responsabile organizzativo regionale Mario Abbruzzese non ha lasciato tracce e la delusione delle europee pesa come un macigno. Negli scenari degli enti intermedi il Carroccio non tocca palla: all’inizio per scelta, adesso per mancanza di peso politico. I consiglieri provinciali Andrea Amata e Luca Zaccari sono gli unici a dare un minimo di vivacità. Ma non basta. Il parlamentare e coordinatore provinciale Nicola Ottaviani è chiamato ad imprimere una svolta vera per cercare un minimo di rilancio. Non è semplice però, anche per l’isolamento nel quale è finita la Lega in Ciociaria. Aver tagliato i ponti con gli alleati è stata la mossa perdente.