Tra le virtù di cui un intellettuale può disporre per innata disposizione e acquisita esperienza sapienziale, c’è quella della preveggenza. Aleksandr Solzhenitsyn, per dire. L’immenso autore di Arcipelago Gulag più di mezzo secolo fa aveva intuito il possibile peggioramento dei rapporti tra Russia e Ucraina. Già negli anni Sessanta del secolo scorso, quando l’Urss sembrava una superpotenza a prova di bomba e dunque nessuno poteva anche lontanamente immaginarne il collasso, Solzhenitsyn avvertiva che prima o poi la questione ucraina avrebbe creato grattacapi che la metà sarebbero bastati.
Il Nobel per la letteratura, pur sperando che Russia e Ucraina mantenessero una qualche forma di unione, riconosceva il diritto alla secessione di Kiev. Non però – questo il punto – secondo i confini stabiliti dalla repubblica sovietica. In una lettera all’intellettuale ucraino Sviatoslav Karavanskij, Solzhenitsyn scriveva: “Malgrado tutta la mia passione non obietto alla separazione dell’Ucraina. Ma se si tratta veramente dell’Ucraina. Ora che nell’Ucraina Occidentale vengono abbattuti i monumenti a Lenin (e lo meritano!), perché gli ucraini occidentali più di tutti gli altri vogliono che l’Ucraina abbia proprio i confini leniniani, ossia quelli regalati alla stessa dal caro Lenin che, cercando di rabbonirla in qualche modo per la privazione dell’indipendenza, aggiunse ad essa territori che non erano mai stati ucraini, ossia la Novorossija (Russia del Sud), Donbass (per isolare il bacino del fiume Donets dalle influenze ‘controrivoluzionarie’ della regione del Don) e parti rilevanti della riva sinistra del Dnepr? (E Krusciov in un batter d’occhio “regalò” anche la Crimea).
Ed ora i nazionalisti ucraini difendono ferreamente proprio questi ‘sacri’ confini leniniani?” Non è tutto. “Con l’Ucraina, le cose andranno in maniera molto dolorosa”, scriveva nel suo capolavoro Arcipelago gulag. Anche in piena epoca sovietica, insomma, egli profeticamente non escludeva che l’Ucraina potesse staccarsi, anche se “un referendum potrebbe essere richiesto da ogni regione”, dato il modo in cui i bolscevichi hanno unito le terre che non erano mai storicamente appartenute all’Ucraina.
“Mi duole scrivere questo poiché sia l’Ucraina, che la Russia sono fuse nel mio sangue, nel mio cuore e nei miei pensieri – aggiungeva Solzhenitsyn -. Ma i frequenti contatti amichevoli con gli ucraini nei campi di lavoro mi hanno mostrato quanto doloroso rancore essi nutrono. La nostra generazione non potrà evitare di pagare per gli errori commessi dai nostri padri. Marcare il territorio con il piede e gridare “Questo è mio” è l’opzione più semplice. È molto più difficile dire: “Chi vuole viverci, ci viva!”. Sorprendentemente, la previsione del marxismo secondo cui il nazionalismo sta svanendo non si è avverata.
Al contrario, in un periodo di ricerca nucleare e di cybernetica, è per qualche motivo fiorito. E il tempo, che ci piaccia o no, di rimborsare tutte le cambiali dell’autodeterminazione e dell’indipendenza sta arrivando, fatelo voi stessi piuttosto che aspettare di essere bruciati sul rogo, annegati in un fiume o decapitati”. Più profetico di così.