Il 24% dei giovani in Ciociaria non studia, non è occupato e non segue corsi di formazione. Si tratta di persone, di età compresa tra i 15 e i 34 anni, che rientrano nella categoria Neet (not in education, employment or traning). E’ l’aspetto più preoccupante di un mercato del lavoro che nella nostra provincia evidenzia le difficoltà insormontabili di una fascia di popolazione che non ha alternative. Per costruirsi un futuro deve provare ad andare via. Chi ne ha la possibilità lo fa.
Il Primo maggio, la Festa dei lavoratori, non può essere analizzato con i vecchi canoni perché il mondo è completamente cambiato. Il posto fisso ha lasciato il posto al precariato diffuso, la borghesia e la classe media non esistono più, mentre è aumentato il numero di coloro che, pur lavorando, arrancano o addirittura rientrano tra i nuovi poveri.
Sempre in Ciociaria, nella fascia di età tra i 25 e i 34 anni la retribuzione media annua è di 16.000 euro, mentre fra i 35 e i 44 anni di 20.000, fra i 45 e i 54 anni di 22.000, tra i 55 e i 64 di 22.500. Sono cifre che evidenziano le difficoltà enormi di tirare avanti, di consentire ai propri figli di studiare e di formarsi. Non è una situazione che riguarda soltanto la provincia di Frosinone e proprio per questo è ancora più preoccupante.
La polemica di queste ultime ora tra il leader della Cgil Maurizio Landini e il presidente del consiglio Giorgia Meloni mette in evidenza due mondi diversi e incomunicabili. Landini ha definito diseducativo fissare una seduta del consiglio dei ministri il 1° Maggio: “Un atto un po’ di arroganza e di offesa nei confronti dei lavoratori”. Meloni ha risposto che diseducativo è il Concertone . Quindi ha affermato: “Io credo sia un bel segnale, invece, per chi come noi è un privilegiato, onorare con il nostro impegno, in questo giorno di festa, i lavoratori e le risposte che attendono”.
Nei sindacati più di qualcuno (sicuramente la Cgil) è rimasto ancorato ad un modello che non esiste più. Non si tratta di tutelare i pochi che il lavoro ce l’hanno e nessuno sta “assaltando” la diligenza dei diritti. E’ importante ricordare che a mettere in discussione l’articolo 18 non è stata la destra pre o post fascista, ma un governo di sinistra guidato da Matteo Renzi, allora leader del Pd. Ma il problema di oggi è di come dare una scossa al mondo del lavoro, anche con provvedimenti a termine per iniziare. Il reddito di cittadinanza ha inevitabilmente messo in discussione la volontà l’impegno di cercare un lavoro. Ci sono tante figure professionali che le nostre industrie e aziende cercano. Se una persona si mette in discussione, prende il treno e viaggia per 800 euro al mese, non può esistere una misura come il reddito di cittadinanza che corrisponde 800 euro al mese a chi sta sul divano e avrebbe tutte le possibilità per mettersi in gioco.
Il fallimento della misura voluta dai Cinque Stelle (ricordate i festeggiamenti sul balcone per aver abolito la povertà?) è stato evidente. Vogliamo parlare delle figure dei “navigator” e degli impegni mai rispettati sulle politiche attive? Il lavoro è cambiato, la politica ha il dovere di adeguarsi ai tempi e di trovare soluzioni.
Il presidente della Regione Lazio Francesco Rocca ha detto: “Senza lavoro viene compromesso irrimediabilmente lo stesso diritto di cittadinanza, la dignità delle persone, pregiudicando così lo sviluppo economico e morale di una società. Nel giorno in cui si celebra il lavoro, desidero rivolgere innanzitutto il mio pensiero e la mia vicinanza a quanti lo cercano e non riescono a ottenerlo, a chi lo ha perduto, a chi è occupato in modo precario o saltuario, a chi lavora con una retribuzione insufficiente per sé e per la propria famiglia. In questa Regione c’è ancora tanto da fare visto che aumenta il numero dei lavoratori poveri: negli ultimi cinque anni, infatti, il 30% di essi ha percepito retribuzioni annue inferiori ai 10.000 euro (rapporto Uil Lazio – Eures)”. Il Governatore ha voluto evidenziare che “nel Lazio abbiamo il 54,1% di donne occupate, contro il 69,7% di uomini”. I temi del lavoro sono questi: le difficoltà dei giovani, il precariato diffuso, la povertà anche di chi un’occupazione ce l’ha, i salari da fame, il gap che riguarda le donne. A pensarci bene, non c’è nulla da festeggiare.