Quella del biogas è la frontiera cui dovrebbero guardare con interesse tutte le aziende intenzionate a ricavare energia fai da te. Centrali elettriche e termiche alimentate da biocombustibili liquidi, come gli scarti degli oleifici, i grassi vegetali, il liquido estratto con la rigenerazione dei filtri dell’industria agroalimentare potrebbero servirsi di fonti energetiche rinnovabili e di nessun impatto con l’ambiente. Potremmo, insomma, parlare di un futuro nel segno del prefisso “bio” (bioliquidi, biometano e biomasse).
In tutta Italia, di imprese consimili, ce ne sono sono una quindicina. Un’altra cinquantina di imprese produce energia da bioliquidi in impianti di dimensioni inferiori al megawatt. Un esempio di azienda del genere sono le Cartiere di Guarcino. «In tutto, si tratta in Italia di impianti per circa 200 megawatt», osserva Alessandro Brusa, consigliere dell’associazione confindustriale Elettricità Futura il quale segue con attenzione il segmento dei bioliquidi. Ma i combustibili non fossili sono una gamma amplissima, diffusa «e purtroppo sottovalutata e spesso addirittura contrastata. I bioliquidi, quasi come se non esistessero», protesta Brusa.
Poca considerazione anche per le biomasse come gli scarti di segheria usati da diversi Comuni nelle Alpi per gli impianti di teleriscaldamento dei centri abitati. Anche il biometano è stato spesso trattato con fastidio dalle norme e con intolleranza dai comitati “nimby” che si oppongono a qualsiasi nuovo progetto di impianto. Il più recente caso di opposizione fra i 180 “no al biometano” censiti finora da Francesco Ferrante, un esperto di comunicazione ecologica, è quello di Matera dove viene contestato un impianto di biogas nella zona industriale della Martella. Speriamo che nel mirino del no finisca anche l’impianto di biometano che ad Anagni dovrebbe entrare in funzione tra qualche mese. Certo ambientalismo anni ottanta oggi potrebbe avere solo conseguente devastanti.