Luigi Germani è l’unico dei tre candidati alla presidenza della Provincia ad avere la consapevolezza che potrebbe guidare l’ente in un periodo di importante transizione. Infatti, come conferma oggi il titolo di apertura de Il Fatto Quotidiano, il Governo Meloni sta lavorando per tornare all’elezione diretta dei presidenti e dei consiglieri provinciali. Il ministro agli affari regionali Roberto Calderoli ha già avuto dei confronti con l’Upi (Unione delle Province Italiane), che sono andati nella giusta direzione.
IL FALLIMENTO DELLA DELRIO
A otto anni di distanza si può dire senza timore di smentita che la riforma firmata Graziano Delrio è stata un fallimento. Non erano certo le Province a compromettere i conti dello Stato e inoltre, dopo la bocciatura del referendum del 2016, a norma di Costituzione si sarebbe dovuti tornare allo status precedente. Non lo si è fatto perché l’ondata demagogica e populista del Movimento Cinque Stelle ha preso piede ovunque.
Basta guardare al taglio (inutile) di 345 seggi parlamentari. Nel frattempo le Province hanno perso fondi, risorse e personale. Mantenendo inalterate però competenze fondamentali in materia di edilizia scolastica, di manutenzione delle strade e di azioni di prevenzione e di sicurezza del territorio. Mentre su materie come i rifiuti e la gestione delle risorse idriche esercitano comunque un ruolo niente affatto di secondo piano.
Tornare all’elezione diretta del presidente e dei consiglieri e alla nomina della giunta andrebbe nella direzione voluta dai nostri principi costituzionali e del buonsenso. I cittadini tornerebbero a scegliere i loro rappresentanti, sottraendo ai partiti oneri e onori di un’elezione di secondo livello che inevitabilmente comporta manovre trasversali e “salti tripli”, carpiati e rigorosamente senza rete.
L’APPUNTAMENTO DEL 18 DICEMBRE
Luigi Germani, sindaco di Arce, è anche l’unico ad avere già una maggioranza in un Consiglio composto da 12 membri. Con lui Daniele Maura e Riccardo Ambrosetti (Fratelli d’Italia), Antonella Di Pucchio e Gaetano Ranaldi (Pd), Alessandro Cardinali (indipendente dopo essere stato eletto nel Polo Civico dodici mesi fa), Luigi Vacana (Provincia in Comune).
Tutti pronti a fare insieme un percorso che porti al ritorno dell’assetto precedente. Germani è un amministratore che gode dell’appoggio di un vasto fronte civico e amministrativo. E’ riduttivo (e strumentale) sottolineare soltanto che lo sosterranno anche Fratelli d’Italia e una larga fetta di Partito Democratico.
Il deputato Massimo Ruspandini e il presidente della Provincia Antonio Pompeo da sempre guardano ai territori, alle classi dirigenti locali, alle “particolarità” che vengono dal basso. Gli altri due candidati, Riccardo Mastrangeli e Luca Di Stefano, non sono interessati ad uno scenario di transizione. Il sindaco di Frosinone sta effettuando un braccio di ferro nel centrodestra, per cercare di affermare la supremazia della Lega di Nicola Ottaviani. Luca Di Stefano, con il quale ci sono le truppe di Francesco De Angelis, intende porsi sempre di più come uno dei possibili punti di riferimento di un centrosinistra ormai privo di alleanze stabili. Nessuno dei due avrebbe la maggioranza in Consiglio.
I RIFLESSI DELLE PROVINCIALI
Sicuramente dopo il 18 dicembre sarà possibile capire meglio alcune cose. Per esempio quale corrente, nel Pd, avrà più amministratori locali. Francesco De Angelis e Antonio Pompeo si misureranno sui voti ponderati, in attesa degli schieramenti al congresso nazionale. Ma non è in discussione il ruolo del segretario Luca Fantini. Nel centrodestra Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia conosceranno meglio la loro consistenza “amministrativa”. Ma immaginare delle crisi nei Comuni, soprattutto a Frosinone, non sta nell’ordine delle cose.
Cosa c’entra il capoluogo con un’elezione di secondo livello nella quale tutti hanno messo in conto la logica trasversale? Inoltre, davvero gioverebbe a qualcuno aprire una crisi al Comune di Frosinone in piena campagna elettorale per le regionali del Lazio, alle quali guarda l’intero Governo di Giorgia Meloni? Fra l’altro se poi nel Lazio dovesse vincere il centrodestra, sarebbe davvero una “genialata” far cadere il capoluogo. Comunque una cosa è già sicura: chi volesse muoversi nella logica del “muoia Sansone con tutti i Filistei” dovrebbe assumersene la responsabilità ad ogni livello.
LA FRUSTATA DI RENZI
Il leader di Italia Viva Matteo Renzi ha detto ieri quello che ha tenuto dentro per anni. E cioè che il Pd ha fatto la guerra a chi lo aveva portato a vincere (Renzi), superando perfino il 40% alle europee. Per far tornare quelli che avevano condannato per anni e anni il partito alla sconfitta. E tutto questo perché? Intanto per un’invidia malcelata e dilagante. Ma anche per ridare voce e ruolo a quelle correnti che con Matteo Renzi non toccavano palla. Da allora ad oggi i Democrat si sono snaturati arrivando all’intesa con i Cinque Stelle, distruggendo tutte le alleanze costruite nel tempo. Un’operazione verità che Stefano Bonaccini e Dario Nardella, favoriti al congresso, dovrebbero favorire. Difficile che lo faranno però: il fantasma di Renzi terrorizza anche loro.