Domani la registrazione dei parlamentari, giovedì la prima riunione di Camera e Senato (con l’elezione dei rispettivi presidenti), quindi il Capo dello Stato Sergio Mattarella affiderà a Giorgia Meloni l’incarico di formare il nuovo Governo. I tempi sono strettissimi e le emergenze incombono. Per questo la leader di Fratelli d’Italia ha voluto lanciare un messaggio molto forte durante il vertice di Arcore. Destinatari Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. Secondo la ricostruzione del Corriere della Sera il ragionamento è stato questo: “Se e quando il Capo dello Stato mi conferirà l’incarico, io un minuto dopo sarò pronta a presentare la mia squadra di governo. Non perderò più tempo in trattative, liti, tira e molla per i posti, perché il Paese è in difficoltà e non ci perdonerebbe, dobbiamo dare prova di serietà. La prima è che non accetterò di fare un governo al ribasso, con nomi non all’altezza. Non farò mai cose che non mi piacciono”. Giorgia Meloni vuole presentare il governo tra il 18 e il 22 ottobre. Ha messo in chiaro diversi punti: 1) in passato Forza Italia, con Berlusconi premier, ha espresso il presidente del Senato (seconda carica dello Stato): Marcello Pera, Renato Schifani. Non si vede perché non possa farlo anche Fratelli d’Italia (Ignazio La Russa); 2) sia la Lega che FI avranno 5 ministeri e il Carroccio (che ha più parlamentari) indicherà il presidente della Camera: Riccardo Molinari favorito su Giancarlo Giorgetti; 3) esattamente come ha fatto Mario Draghi, Giorgia Meloni vuole decidere sulla nomina dei ministri che verranno proposti dagli alleati; 4) le “meline” da Prima Repubblica di Salvini sui ministeri e di Berlusconi su alcuni fedelissimi (in primis Licia Ronzulli) non piacciono alla Meloni.
Non sarà semplice guidare l’Italia e non è vero che la maggioranza di centrodestra è unita e compatta. La verità è che due partiti che non sono neppure in doppia cifra (Lega e Forza Italia) hanno la straordinaria possibilità di governare il Paese. Insieme ad un alleato che da solo sfiora il 30%. La matematica non è un’opinione, la politica neppure.
LA PATTUGLIA CIOCIARA
Ieri è stata ufficializzata l’elezione di Paolo Pulciani, anche lui di Fratelli d’Italia, al terzo posto (dietro Francesco Lollobrigida e Chiara Colosimo) nel collegio plurinominale della Camera. Il complesso meccanismo del ricalcolo dei voti per l’attribuzione dei seggi ha dato a FdI il secondo parlamentare del territorio. Dopo il bis di Massimo Ruspandini, passato dal Senato alla Camera stravincendo in entrambi i casi la sfida nel maggioritario. In questi anni Ruspandini è cresciuto molto politicamente, sia in Parlamento che nel territorio, dove ha moltiplicato i consensi e gli eletti del partito. Di Fratelli d’Italia, e di Frosinone, è anche Aldo Mattia, eletto nel collegio proporzionale della Basilicata. A Montecitorio entreranno pure l’ex sindaco di Frosinone Nicola Ottaviani (Lega) e Ilaria Fontana (Movimento Cinque Stelle), che ha ottenuto la conferma. La prossima legislatura sarà assai impegnativa. Con un Governo in trincea sull’economia e sullo scenario internazionale (nella guerra tra Russia e Ucraina si sta evocando l’Armaggedon nucleare), le commissioni parlamentari avranno un ruolo preponderante. E’ in quella sede che l’attività legislativa sarà fondamentale, prima di arrivare in votazione alla Camera e al Senato. Perciò la collocazione dei deputati e dei senatori avrà una sua specifica importanza.
IL TRAMONTO DI ZINGARETTI
Dopo la proclamazione degli eletti Nicola Zingaretti avrà due mesi di tempo per dimettersi da presidente della Regione Lazio. Per quanto possa tirarla a lungo, il percorso è irreversibile. Alla Camera sarà un deputato semplice: fino a qualche giorni fa il suo nome era il primo per la scelta del presidente del gruppo a Montecitorio. Adesso è scomparso dalla “rosa”. C’è il derby tra due donne: Marianna Madia e Anna Ascani. Ma attenzione a Francesco Boccia, fedelissimo di Enrico Letta e pasdaran del Campo largo. Dopo dieci anni da Governatore (mai nessuno nel Lazio aveva vinto due volte consecutive), Zingaretti immaginava un altro addio. Non soltanto per la vicenda delle mascherine, ma proprio sul piano politico. Lascia un Pd mai così in difficoltà, con un’alleanza andata in frantumi alle politiche. Alla Regione lo hanno sostenuto tutti, anche Italia Viva e Azione. Perfino il Movimento Cinque Stelle nell’ultimo periodo. Le politiche però hanno sancito la sconfitta ingestibile di quel modello. Inoltre, da segretario nazionale del Pd, Nicola Zingaretti aveva difeso strenuamente la permanenza di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi, mettendosi di traverso all’arrivo di Mario Draghi. Poi il Movimento Cinque Stelle ha stracciato ogni accordo con i Democrat. Nicola Zingaretti ha visto fallire, uno dopo l’altro, tutti i suoi progetti: Piazza Grande (il Pd doveva ripartire dall’opposizione, dopo pochi mesi è tornato al governo, con Conte), l’asse di ferro con i Cinque Stelle, il Campo largo nel Lazio. Sul piano amministrativo la Regione non ha effettuato alcun salto di qualità e il problema dei problemi (i rifiuti) si è aggravato di molto. L’elezione alla Camera assomiglia a una riserva indiana.