Da domani, gli italiani smettono di guadagnare per lavorare ed iniziano a lavorare per guadagnare. Oggi, infatti, è l’ultimo giorno di lavoro per pagare le tasse. Da domani tutto quello che incasseremo sarà nostro. O Almeno così è in linea teorica.
Scatta domani, martedì 7 giugno, il tax freedom day (giorno di liberazione fiscale) dopo poco più di 5 mesi, il contribuente medio finisce di lavorare per lo Stato e inizia a guadagnare per sé.
Rispetto al 2021, quest’anno l’ “appuntamento” più atteso dagli italiani arriva un giorno prima. Dopo 157 giorni lavorativi inclusi i sabati e le domeniche. Con i soldi incassati in questa prima parte dell’anno, infatti, il contribuente medio riesce ad adempiere a tutti i versamenti fiscali dell’anno (Irpef, Imu, Iva, Tari, addizionali varie, Irap, Ires, contributi previdenziali, etc.).
Come detto è un puro calcolo teorico – sviluppato dall’ufficio studi dell’associazione di categoria delle piccole e medie imprese Cgia – perché in questi 157 giorni dall’inizio dell’anno – come è ovvio – il contribuente medio ha dovuto pur “vivere”: mangiare, uscire, svagarsi, svolgere vita sociale, ecc.
Il puro esercizio teorico serve però a dimostrare, se ancora ce ne fosse bisogno, quanto si a eccessivo il peso fiscale che grava sugli italiani. Un problema che emerge in misura altrettanto evidente anche quando ci confrontiamo con i nostri principali concorrenti. Tra i paesi più importanti in Europa, infatti, nel 2021 solo la Francia ha registrato una pressione fiscale superiore alla nostra. Se a Parigi era al 47,2 per cento del Pil, a Berlino si è attestata al 42,5 per cento e a Madrid al 38,8 per cento. Da noi, invece, il peso fiscale ha raggiunto la soglia record del 43,5 per cento. Tra i 27 dell’UE, l’Italia si è collocata al sesto posto: ci hanno preceduto la Danimarca (48,1 per cento), la Francia (47,2 per cento), il Belgio (44,9 per cento), l’Austria (43,8 per cento) e la Svezia (43,7 per cento). L’anno scorso la media UE si è “fermata” al 41,5 per cento, due punti in meno rispetto a noi.
Dall’Ufficio studi della Gcia ci avvertono anche del fatto che: “Osservando la serie storica, il “giorno di liberazione fiscale” più “precoce” è stato nel 2005. In quell’occasione, la pressione fiscale si attestò al 39 per cento e ai contribuenti italiani bastò raggiungere il 23 maggio (142 giorni lavorativi) per lasciarsi alle spalle tutte le scadenze fiscali. Osservando sempre il calendario, quello più in “ritardo“, come dicevamo più sopra, si è registrato nel 2021, giacché la pressione fiscale ha raggiunto il record storico del 43,5 per cento e, di conseguenza, il “giorno di liberazione fiscale” è scoccato l’8 giugno. E’ corretto segnalare che questo picco record di pressione fiscale non è ascrivibile ad un aumento del prelievo imposto l ’anno scorso a famiglie e imprese, ma alla decisa crescita registrata dal Pil nazionale (oltre il 6,5 per cento) che, dopo la caduta verticale registrata nel 2020 (-9 per cento), ha contribuito ad aumentare notevolmente le entrate.
Per i più curiosi, ecco come è stato individuato il tax freedom day…
La stima del Pil nazionale prevista nel 2022 è stata suddivisa per i 365 giorni dell’anno, ottenendo così un dato medio giornaliero. Successivamente, si sono considerate le previsioni di gettito dei contributi previdenziali, delle imposte e delle tasse che i percettori di reddito verseranno quest’anno e sono stati rapportati al Pil giornaliero. Il risultato di questa operazione ha consentito di calcolare il “tax freedom day” dell’anno in corso fissandolo al 7 giugno 2022.