Percepire uno stipendio era l’eccezione e non la regola. Parliamo del calcio ai primi del secolo, quando l’idea del calciatore professionista era un’ipotesi fantascientifica perché al football si giocava per divertire e per divertirsi. Le stelle erano gratificate da tante attenzioni e… pacche sulle spalle. Si fece poi strada progressivamente l’idea che i migliori valessero qualcosa di più di un rimborso spese e il calcio cambiò bruscamente direzione, fin quando l’Italia non s’interrogò scandalizzata sull’ingaggio faraonico dell’argentino, poi naturalizzato italiano, Raimundo Orsi, detto Mumo.
Il fantasista di Avellaneda percepì 100mila lire e uno stipendio suppletivo di 8000 lire al mese, mentre lo stipendio di un maestro elementare era di 400 lire e per raggiungere le mille lire di una nota canzone dell’epoca occorreva svolgere la professione di magistrato o di dirigente d’azienda.
Quel che accadde negli anni successivi fu conseguenza diretta di come il calcio avesse acquisito importanza nella vita degli italiani, ma fu il boom degli anni 60 a far esplodere ingaggi, guadagni e… trasferimenti. Eh già, perché la campagna acquisti, allora definita ancora preferibilmente calciomercato, andava assumendo contorni faraonici e comunque fuori contesto rispetto alla maggior parte degli altri settori.
Si arrivò così per la prima volta ad acquisire le prestazioni sportive di un calciatore per un cifra che superò il miliardo di lire: Beppe Savoldi, baffuto centravanti del Bologna, approdò al Napoli di Ferlaino per la cifra di 1 miliardo e 200 milioni. Era il 1975 e da quel giorno i trasferimenti miliardari diventarono frequenti. Per gli ingaggi, però, i calciatori erano i procuratori di se stessi e ci sono leggende o forse cronache che narrano come ad esempio Boniperti, presidentissimo della Juve, sottoponesse ai giocatori il contratto da firmare con scarsa attenzione alle richieste degli interessati. Difficilissimo strappare un aumento, in quella Juve di campioni, ma molto attenta al bilancio e con l’ex capitano arcigno difensore dei forzieri di casa Fiat. Poi arrivò lo svincolo e si diffusero sul pianeta calcio i procuratori, figure controverse e talvolta ambigue. I calciatori non dovevano più trattare con la società la definizione degli stipendi e anche per cambiar casacca il parere dei procuratori era essenziale.
Dopo Maradona, autore di due trasferimenti record dal Boca al Barcellona e dalla Catalogna al Napoli, ci fu anche qualche costosissimo cambio di maglia non suffragato dai responsi del campo. Parliamo di Jean Pierre Papin, ingaggiato dal Milan per 10 miliardi, sponda Marsiglia, e di Gianluigi Lentini, che sempre in rossonero approdò per la cifra record di 13 miliardi, con tanta gioia del Torino e poche soddisfazioni per i tifosi del “diavolo”.
Oggi il trasferimento più costoso di sempre è quello di Neymar: per guadagnarsi le sue prestazioni gli sceicchi del Psg hanno sborsato 200 miliardi. Prima di lui, la spesa più sostenuta era stata quella del Manchester United, che per 89 miliardi e 300 milioni si era ripreso dalla Juventus Paul Pogba (che ora a parametro zero sta compiendo il percorso inverso). Ora, tra commissioni dei procuratori, ingaggi sovradimensionati e capricci dei super ricchi, il calcio rischia di collassare. Con buona pace delle 8000 lire di Mumo Orsi, che in verità dalla Juve aveva anche avuto una Fiat 509. Pensando a quante auto di lusso possa acquistare Mbappè con il suo faraonico rinnovo parigino, non si può non riflettere su quanto siano aumentati i dribbling…