Il Movimento Cinque Stelle ha archiviato Beppe Grillo, il fondatore. Verrà cambiato perfino il nome, l’idea è quella di definirsi “Progressisti indipendenti”. Insomma, una forza di sinistra ma con geometrie variabili. Specialmente sulle alleanze. La figura del Garante verrà ridotta ai minimi termini, la Costituente sarà plasmata su 12 report. Sembra anche evidente che il limite dei due mandati verrà superato.
Sarà il partito di Giuseppe Conte, il professore universitario letteralmente catapultato da Beppe Grillo e Luigi Di Maio a Palazzo Chigi. Un presidente del consiglio capace di governare prima insieme alla Lega di Matteo Salvini, poi al Partito Democratico di Nicola Zingaretti.
Fino a quando Matteo Renzi decise che era arrivato il momento di staccare la spina, favorendo l’ascesa di Mario Draghi alla guida del Paese. Conte non gliel’ha mai perdonata e dà la sensazione di ritenere la guida del Governo quasi come un atto dovuto.
Il declino dei Cinque Stelle è stato inesorabile. L’elemento chiave era Gianroberto Casaleggio: la sua morte è stata l’inizio della fine di un Movimento nel quale non c’era nessun altro in grado di prendere il suo posto sul serio. Beppe Grillo è stato sì il fondatore ma pure il formidabile frontman della stagione del “vaffa”, quella della crescita dei consensi ma anche del contenimento della rabbia sociale in una formazione di tipo politico. I Cinque Stelle non hanno retto all’urto del Governo del Paese, questa è la verità. Mario Draghi arriva nel momento più complicato della pandemia da Covid, quando non si riusciva ad organizzare un piano vaccinale degno di questo nome. Però i pentastellati si sono persi tra promesse mai mantenute (“apriremo il Parlamento come una scatola di tonno”) e celebrazioni donchisciottesche (“abbiamo abolito la povertà”). Per non parlare di misure come il Reddito di cittadinanza e il Superbonus che continuano a pesare come macigni sui conti dello Stato. Non erano pronti, non avevano una classe dirigente degna di questo nome. Però quelli che potevano prendere in mano la situazione se ne sono andati dopo essersi defilati: Alessandro Di Battista, Luigi Di Maio, Paola Taverna, Roberto Fico. L’elenco è lunghissimo. Il primo a rendersi conto di come sarebbero andate a finire le cose è stato il sindaco di Parma Federico Pizzarotti, che infatti ha preso le distanze prima di tutti gli altri.
Però c’è stato un momento nel quale il Movimento era l’unico a riempire piazza San Giovanni a Roma, un momento nel quale Virginia Raggi e Chiara Appendino sono state elette sindache di Roma e Torino. Ma il grande equivoco è stato che la crescita dei pentastellati è avvenuta non soltanto a scapito ma “contro” il Pd. Perciò il Campo largo era e resta una contraddizione in termini. L’attacco in streaming di Roberta Lombardi a Pierluigi Bersani era stato emblematico. Soltanto Matteo Renzi lo aveva capito. In questi anni le strategie politiche dei Democrat sono state fallimentari ad ogni livello anche e soprattutto per l’abbraccio con il Movimento. Nel frattempo diventato il partito di Giuseppe Conte. Certamente stupisce come Conte abbia liquidato non solo il fondatore dei Cinque Stelle, ma pure l’uomo senza il quale la sua carriera politica neppure sarebbe iniziata.
Immaginate se in Forza Italia avessero sfiduciato Silvio Berlusconi. A sorprendere davvero è il silenzio di tutti coloro che hanno contribuito a fondare e far crescere il Movimento Cinque Stelle. Il vero limite però è la totale assenza di radicamento nei territori. I risultati sono arrivato solo alle politiche. Per il voto di opinione, fondamentale anche in alcuni Comuni. Non soltanto a Roma e Torino. Per il resto però niente di rilevante. I sogni della grande partecipazione dal basso e del coinvolgimento della gente attraverso i moderni mezzi di comunicazione sono rimasti tali. In provincia di Frosinone sono stati eletti dei parlamentari: Luca Frusone (2 volte), Enrica Segneri, Ilaria Fontana (2 volte). I primi due sono spariti dai radar. La terza è tra i fedelissimi di Giuseppe Conte. Già, Conte. Più di qualcuno, perfino per esigenze giornalistiche, lo ha paragonato al Marchese del Grillo: “Io so io…”. In realtà adesso dovrà dimostrare quanto vale in termini di voti e percentuali la sua forza politica. Deve tutto a Beppe Grillo e Luigi Di Maio. Eppure non ha avuto problemi a rottamarli. Il vero mistero è come faccia il Pd ad insistere con il Campo Largo. E con Conte.