A pensarci bene in trent’anni il centrosinistra si è davvero imposto alle elezioni politiche soltanto due volte, con Romano Prodi. Ai tempi dell’Ulivo. C’è stata poi la “non vittoria” di Pierluigi Bersani nel 2013, anno in cui il sistema italiano diventò tripolare per l’entrata in scena del Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo. C’è un incrocio di destini tra il Pd e i Cinque Stelle. Secondo molti autorevoli commentatori l’Italia è un Paese che raramente si affida alla Sinistra quando in palio c’è il Governo nazionale. Mentre invece il centrodestra è stato premiato quando il leader era Silvio Berlusconi (Forza Italia), ma pure durante la breve stagione di Matteo Salvini (Lega). Adesso c’è Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia), che a Palazzo Chigi è arrivata forte di una valanga di voti, preferenze e percentuali. Non è tutto: il Movimento Cinque Stelle è nato sull’onda lunga del “Vaffa” nelle piazze, ma in funzione anti-Pd. Questo non va mai dimenticato. Nel 2013 i pentastellati sbarrarono la strada ai Democrat, nel 2018 sono andati al governo con la Lega. Soltanto dopo, grazie alle manovre di Matteo Renzi, Salvini fu estromesso e si aprì la strada ad una breve stagione di collaborazione con il Pd di Zingaretti. Fino a quando il solito Renzi decise che era arrivato il momento di archiviare il Governo Conte, chiamando a Palazzo Chigi Mario Draghi. Tutto questo per tenere presente che perfino i voti ai Cinque Stelle furono un segnale che gli italiani non volevano il Pd al governo del Paese.
Ieri c’è stato l’assolo di Beppe Grillo sul carro funebre: ha definito Giuseppe Conte il mago di Oz, lo ha accusato di aver distrutto il Movimento, invitandolo a farsi un partito e anche un simbolo. Soprattutto un simbolo. In realtà è iniziata una lunghissima battaglia politica e giuridica, che riguarderà anche e soprattutto il simbolo. Da domani a domenica il Movimento ripete la votazione contestata dal garante Grillo. Non è importante il risultato (verrà confermata la linea di Conte): quello che succederà dopo avrà una valenza maggiore.
Però lo show sul carro funebre segna in qualche modo il funerale dell’antipolitica. Quell’antipolitica che ha portato al taglio selvaggio del numero dei parlamentari (senza preoccuparsi delle architetture istituzionali e del sistema dei pesi e dei contrappesi), al ridimensionamento drastico delle Province (senza tenere neppure in considerazione il fatto che sono rimaste enti di rilevanza costituzionale). Potremmo parlare del Superbonus, dell’abolizione della povertà e di molto altro. Lo scontro tra Grillo e Conte è l’ultimo atto di un momento storico nel quale si è tentato di far credere che uno vale uno. Che siamo tutti uguali, in un livellamento verso il basso. Le percentuali altissime di astensione derivano certamente dal disincanto dei cittadini, alle prese con problemi di sopravvivenza economica. Però l’antipolitica ha le sue responsabilità, non fosse altro perché ha fatto di tutta l’erba un fascio. L’Italia è rimasta ferma quando altri Paesi prendevano scelte difficili e impopolari: sul nucleare, sulla politica industriale, su riforme che qui non sono state neppure accennate. Per rilanciare il Movimento Beppe Grillo starebbe pensando, secondo alcune ricostruzioni, a Virginia Raggi oppure ad Alessandro Di Battista. Esponenti che però si sono allontanati proprio per come era cambiato il Movimento. Sotto la spinta di Conte. Ma comunque con il placet di Grillo. Perciò oggi assistiamo all’ennesima resa dei conti al veleno tra persone che hanno condiviso un percorso. Viene da chiedersi se al Partito Democratico conviene davvero insistere con il Campo Largo. Mai decollato davvero peraltro. Nel caso di una scissione all’interno del Movimento, quali sarebbero le percentuali di Giuseppe Conte da una parte e di Beppe Grillo dall’altra? Infine, Grillo andrebbe con i Democrat?