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Il Grande Torino esce dalla storia ed entra nella leggenda

Roberto Mercaldo
Il 4 maggio del 1949 la tragedia di Superga: scompare come una nuvola la più forte squadra di sempre
Maggio 4, 2022
Tragedia di Superga (4 maggio 1949)

Muore giovane chi è caro agli dei. Menandro, trecento anni prima della nascita di Cristo, legava sacralità e sofferenza per dare un senso elevato alla precoce dipartita. Gli eroi son tutti giovani e belli, declamava con l’aiuto di una chitarra Francesco Guccini, 2500 anni dopo. Eran giovani, belli e pieni di sogni quegli eroi che il 4 maggio del 1949 tornavano da Lisbona, dopo aver disputato una gara amichevole con il Benfica. Il Torino da anni dominava nel contesto del calcio italiano del dopoguerra.

Cinque scudetti vinti, che sarebbero forse stati sette senza l’interruzione dovuta al conflitto mondiale, una superiorità evidente e la quasi esclusiva della maglia azzurra. Il portiere della Juventus, Sentimenti IV, era il solo titolare azzurro che non avesse la maglia granata. Non c’era ancora la Champions League, nemmeno nella sua forma originaria di “Coppa dei Campioni”, ma nessuno poteva affermare che il Torino non fosse la più forte squadra europea di quell’epoca. Tanti campioni, che per una delle tante bizzarrie del pianeta calcio nacquero nella stessa epoca e giocarono nello stesso club. Il presidente Novo in verità fu molto bravo a prelevare dalle altre squadre italiane il meglio del calcio di allora. Arrivato nell’estate del ‘39 alla guida del club granata, acquistó in pochi anni prima Grezar, poi Loik e Mazzola, che nelle fila del Venezia avevano inflitto al “nascente” grande Torino un paio di cocenti dispiaceri e infine i terzini Ballarin e Maroso, altre colonne di quella squadra dei sogni. È in errore chi pensa che a quella squadra mancassero valide antagoniste, perché Roma, Juventus, Bologna, Inter e per una stagione anche il Livorno erano complessi di tutto rispetto.

Quando però arrivavano le giornate decisive per la conquista del titolo tricolore, il Torino gettava sul piatto il suo grandissimo valore tecnico ed anche una sapienza tattica non comune. Prima Kuttik e poi Ferrero, tecnici del Grande Torino, abbracciarono infatti con risultati eccellenti, lo schema di gioco detto “sistema”, che era stato inventato dal tecnico dell’Arsenal Chapman e si contrapponeva al “metodo”, sino ad allora dominante tra i club più blasonati. Tante vittorie, tante prodezze e l’unanime riconoscimento della stampa sportiva dell’epoca. Quel Torino era capace d’infiammare l’immaginazione, rapace e spietato quando serviva il pugnale, bello da impazzire quando bastava il fioretto. Applaudito, lodato e rispettato ad ogni latitudine, si recò in Portogallo per disputare un’amichevole benefica il 3 maggio del 49. Quattro giorni prima, pareggiando 0/0 a San Siro sul campo dell’Inter, aveva conservato un margine di 4 punti sui nerazzurri, che erano i più diretti inseguitori. Il quinto scudetto era vicinissimo, ma prima c’era da onorare l’impegno internazionale con il Benfica. In Portogallo la gara finì 4/3 per i lusitani, ma fu un match giocato soprattutto per appagare il senso estetico degli spettatori che gremirono lo Stadio Nazionale di Lisbona. Il giorno dopo, poco dopo le 17, il trimotore Fiat G. 212 è avvolto dalla nebbia e un guasto dell’altimetro lo manda fuori rotta. I muraglioni di sostegno del giardino della Basilica di Superga sono l’ostacolo imprevisto e fatale. Muoiono all’istante i 31 occupanti: 4 membri dell’equipaggio, 3 giornalisti e 24 tra giocatori e dirigenti del Torino.

Bacigalupo, Ballarin, Maroso e gli altri granata, lasciano la storia e si consegnano alla leggenda. L’Italia piange i suoi eroi. Il 6 maggio, in Piazza Castello, 600mila persone salutano commosse quei ragazzi caduti perché cari agli dei. Errore umano, guasto meccanico, fatalità… Sul Corriere della Sera, Indro Montanelli scrive: “Gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede. E così i ragazzi crederanno che il Torino non è morto: è soltanto in trasferta”.

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