Dieci turni, ovvero poco più di un quarto di torneo: troppo poco per trarre certezze, abbastanza per formarsi sensazioni non larvali. Napoli spettacolare, Milan pragmatico, Atalanta non è vero ma ci credo. Nel segno di queste tre formazioni è partito il nostro massimo campionato, che sembra seriamente intenzionato a ribaltare le gerarchie di sempre. Delle tre grandi tradizionali del nostro calcio tiene botta solo il Milan, che non è bello e pirotecnico come il Napoli, ma vince. Vince di giustezza, senza mostrare un solco apparente tra sé e l’interlocutore di turno, ma vince spesso e volentieri. Ai trascinatori ormai riconosciuti, i cicloni Theo Hernandez e Leao, si va aggiungendo come suggeritore, interdittore e persin realizzatore Tonali, che posto dinanzi al bivio di restare nel limbo degli incompiuti o d’imboccare la strada del protagonismo, sembra dirigersi baldanzoso verso la seconda eventualità. Eroe per caso Tatarusanu, che chiamato a sostituire la certezza Maignan ha risposto presente, fornendo prestazioni all’altezza. Il Napoli delle meraviglie manda in gol un po’ tutti, con Juan Jesus ad allargare ulteriormente la nutrita lista, ma gara dopo gara emerge la leadership silenziosa e imprevista di Karatskhelia, che è uomo assist, goleador e fantasista. Anche contro il Bologna gli uomini di Spalletti hanno superato i momenti di disagio con autorevolezza, consapevoli di disporre di armi non comuni. Segnarne uno in più è lo slogan, in antitesi al primo non prenderle che ha caratterizzato storicamente le formazioni leader della nostra serie A. È invece diventata piuttosto sparagnina l’Atalanta del Gasp, che in controtendenza rispetto al recente passato lucra spesso su un golletto. Stavolta però ha dovuto far gli straordinari, perché Kyriakopoulos imbeccato dal baby D’Andrea ha messo la gara in salita per gli orobici, che a cavallo dei due tempi hanno siglato il sorpasso con apparente facilità. Hanno pareggiato a reti bianche Lazio e Udinese, con i biancocelesti che però recriminano per l’infortunio di Immobile. Quanto il centravanti incida sulle fortune della squadra lo dicono i numeri ed è comprensibile lo smarrimento conseguito all’improvviso stop. I friulani hanno visto la traversa opporsi ai sogni di gloria transitati sul destro di Deloufeu, ma sono rimasti lì, dove nessuno avrebbe immaginato di trovarli. La Roma orfana di Dybala e con Zaniolo escluso dall’undici iniziale ha fatto di necessità virtù ed ha espugnato Genova usando più la sciabola che il fioretto. Juventus e Inter hanno evitato di perdere ulteriore terreno. Significativo il successo dei bianconeri sui cugini del Toro, che inevitabilmente richiama un altro derby vinto, allora all’ultimo assalto, da una Juve di Allegri che iniziò da quella gara una rimonta incredibile. Difficile ipotizzare un bis, ma la scaramanzia nel calcio svolge un ruolo non secondario. E tra i cuori bianconeri riaffiora, quasi timida, la speranza. Tutto facile per l’Inter che ha portato a San Siro la fresca gloria europea, liquidando la Salernitana grazie ai suoi uomini più rappresentativi, Lautaro e Barella. Divisione della posta tra il Lecce e la Fiorentina nel posticipo, e nessun vincitore neanche a La Spezia, nel pirotecnico pari tra i liguri e la Cremonese. Successo prezioso per l’Empoli, che nella gara in cui ha domato il Monza ha suggerito forte e chiaro il più credibile alter ego di Gigione Donnarumma: Vicario, portiere di enormi potenzialità, sempre più spesso tradotte in atto.