C’è un giudice a Frosinone! La sentenza n. 842, del 6 ottobre scorso, emessa dal Tribunale di via Calvosa è una di quelle destinate a far discutere tutta Italia.
Il giudice monocratico, Luigi Petraccone, ha infatti deciso che, sia la delibera del Governo del 31 gennaio 2020 con cui è stato dichiarato lo stato d’emergenza per la pandemia da Sars-Cov-2 e sia i successivi Dpcm emessi per contrastare la diffusione del coronavirus limitando la circolazione e vietando gli assembramenti, fossero illegittimi, poiché adottati in assenza di una norma di legge che consentisse al Consiglio dei ministri di emanare simili provvedimenti per contrastare un’emergenza sanitaria.
Il Tribunale di Frosinone, quale giudice d’appello, è stato chiamato a pronunciarsi – su ricorso della Prefettura del capoluogo ciociaro – sulla sentenza emessa nel luglio 2020 dal Giudice di Pace, il quale aveva accolto l’impugnativa avanzata da un automobilista, assistito dall’avvocato Giuseppe Cosimato, contro il verbale redatto dalla polizia stradale che, nell’aprile 2020, aveva fermato l’uomo alla guida della sua auto contestandogli di aver violato il lockdown e multandolo per 400 euro. Le norme violate erano quelle contenute nei Dpcm emanati dal Presidente del Consiglio, che attuavano misure restrittive della libera circolazione su tutto il territorio nazionale, per contenere il contagio.
Per il Giudice di Frosinone, la libertà di circolazione e le altre libertà fondamentali sancite dalla Costituzione, non possono essere limitate da simili decreti, neanche se emanati per la tutela di un altro diritto fondamentale qual è quello alla salute. Per il Tribunale ciociaro, la legislazione italiana prevede la possibilità di introdurre norme emergenziali e limitanti di talune libertà, purché per contenuti lassi di tempo, solo per i previsti casi di calamità naturali o derivanti dall’attività dell’uomo, mentre il rischio sanitario non è incluso in tale previsione. In base a tale ragionamento, la delibera con cui il Consiglio dei ministri il 31 gennaio 2020 ha dichiarato lo stato di emergenza sanitaria per il Covid è priva di legittimità “per essere stata emanata – scrive il magistrato – in assenza dei presupposti legislativi. In quanto non è rinvenibile alcuna fonte avente forza di legge che attribuisca al consiglio dei ministri il potere di dichiarare lo stato di emergenza per rischio sanitario”. Di conseguenza, sono ‘macchiati’ di illegittimità anche i Dpcm che ripongono la loro ragion d’essere in quel iniziale atto illegittimo, e quindi il verbale con cui si è applicata la sanzione lì prevista.
Quello ciociaro è un precedente praticamente unico. Che vale, cioè produce effetti – vale la pena ricordarlo –, solo tra le parti in causa. E’ però un precedente giurisprudenziale che può essere invocato, soprattutto nel foro ciociaro. Vedremo ora se la vicenda verrà portata davanti al giudice di legittimità.
Un precedente che però appare isolato – fino adesso – rispetto ai diversi pronunciamenti della giustizia amministrativa (sia in sede consultiva, che cautelare, che di merito) e della corte costituzionale, che hanno finora preso in esame il complesso dell’architettura legislativa e normativa – messa su da Consiglio dei ministri e Parlamento per fronteggiare la pandemia – legittimandola puntualmente.
A dirla tutta, per evitare la censura costituzionale, il Governo è dovuto intervenire più volte con la decretazione d’urgenza, per correggere il tiro e rimuovere errori o sviste nell’emanazione dei primi provvedimenti, che avrebbero potuto inficiarne la legittimità rispetto alle norme fondamentali.
Lo ha fatto con i cosiddetti “decreti Minotauro”, un’invenzione del governo Conte: abrogando per decreto legge alcuni decreti legge precedenti, prima della conversione da parte del Parlamento, e recuperando parte delle disposizioni così cancellate nei nuovi decreti, inquadrandole meglio nella cornice costituzionale.
Una pratica, che seppur tollerata in considerazione della situazione straordinaria che stava affrontando, è stata fortemente criticata sia dalla Corte costituzionale (anche per l’implicita reiterazione nei nuovi decreti delle norme contenute in decreti precedenti, pratica censurata nel 1996 dal Giudice delle leggi), sia dal Comitato per la legislazione della Camera perché i “decreti Minotauro” rendono più difficile comprendere l’iter legislativo e limitano le prerogative del Parlamento.