Una guerra giudiziaria durata oltre 7 anni e giunta fino in Cassazione: è quella che si è consumata tra il “cacio romano” e il “pecorino romano” che ha costretto gli “ermellini” del Palazzaccio a disquisire di formaggi aromatici, piccanti, stagionati e semistagionati, tipi di latte: caprino e vaccino e di caciotte a pasta molle, da grattugiare o meno.
La pronuncia della Suprema Corte
Alla fine, con al sentenza n.7937 emessa nei giorni scorsi, ha avuto la meglio il “cacio romano” che si è così garantito la sopravvivenza, contro la pretesa del “pecorino” che voleva impedirgli quella denominazione e l’uso del relativo marchio.
Uno scontro tra marchi
La battaglia legale è iniziata a metà dello scorso decennio, quando il “pecorino romano”, dal 1996 marchio “Dop” (Denominazione d’origine protetta) riconosciuto dalla Commissione Europea, ha denunciato ai giudici il rischio che i consumatori potessero confonderlo con il meno blasonato “cacio romano”, che da parte sua, però, annovera la tutela dal Ministero dello sviluppo economico come “marchio registrato” già nel 1991.
La vicenda in Tribunale e i sequestri
La vicenda è finita in Tribunale e, in primo grado, il “pecorino” ha vinto: i giudici hanno sentenziato che il “cacio romano” non poteva più usare quel marchio e, in forza di quel primo provvedimento, diverse pezze di formaggio di quest’ultimo prodotto finirono sotto sequestro.
La sentenza d’appello
La questione non si fermò lì. Nel 2018, si celebrò il processo d’appello, dopo che il “cacio romano” aveva impugnato la sentenza favorevole al “pecorino dop”. I giudici di seconda istanza ribaltarono la decisione del Tribunale e stabilirono che non c’era alcuna rischio che si facesse confusione tra i due prodotti caseari. Con una sentenza che, a tratti, sembra un trattato di Pellegrino Artusi e nella quale i magistrati si impegnano a stabilire quali siano le differenze tra i due formaggi.
Annotavano, allora, i giudici che: “il Pecorino dop è un formaggio aromatico e piccante, stagionato, impiegato essenzialmente come formaggio di grattugia, prodotto con latte di pecora, mentre il Cacio Romano è un formaggio dolce, semistagionato, che richiama la caciotta a pasta molle di latte anche vaccino, che non si può grattugiare ed è quindi impiegato solo come formaggio da tavola”. Insomma: impossibile sbagliarsi e fare confusione, quindi il “pecorino” può stare sereno.
La Cassazione chiude il caso
Una disamina della faccenda che ha convinto anche i giudici di Cassazione a cui, l’implacabile Dop romano si è rivolto per avere giustizia. Gli ermellini hanno condiviso le ragioni dei magistrati di appello e stabilito che nulla può essere rimproverato a quella sentenza: cacio romano – il cui marchio è stato definito “conforme ai principi di correttezza professionale” – e pecorino romano possono convivere sugli scaffali dei negozi e i consumatori non hanno da temere alcuna confusione.