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La ‘vera’ storia del furto delle tele ad Alvito e perché sono state restituite

Cesidio Vano
Novembre 9, 2022

“Qui nulla andrà a buon fine”. Nemmeno i furti d’opera d’arte. Dietro il ‘giallo’ delle tre tele, riconsegnate ad Alvito dopo una ventina d’anni dal furto nella chiesa di San Nicola, c’è la maledizione di San Bernardino! Non ci credete? Eppure gli indizi sono tanti. Troppi.

Padre Bernardino da Siena, negli anni ‘40 del XV secolo (c’è chi dice nel 1443), giunse nell’allora Ducato di Alvito per predicare. Ma le parole spese contro il gioco d’azzardo, l’usura, il malcostume e altri viziacci brutti dell’epoca (non che ora sia cambiato molto, eh!) non piacquero affatto a qualche alvitano (di strozzini, giocatori accaniti e furfanti vari c’è sempre abbondanza in ogni parte del mondo). Questi, sentendosi offesi dalle parole del frate, sobillarono gli altri a cacciarlo via dal paese e pure in malo modo. Così, il futuro San Bernardino, canonizzato nel 1450 da papa Nicolò V, andando via (o meglio scappando) in direzione della vicina Vicalvi (di cui diverrà poi patrono), si rivolse agli abitanti del posto, che lo incalzavano con lancio di pietre, e scagliò la sua maledizione: “Qui nulla andrà a buon fine”.

Ora, sarà che le parole di un Santo hanno il loro peso, sarà che padre Bernardino non portava proprio bene, sta di fatto che, a ben vedere, quello stigma un po’ s’è attaccato al territorio: tra opere iniziate e mai finite, progetti rimasti spesso solo sulla carta, aspettative puntualmente deluse, carriere avviate per il meglio e poi prontamente fulminate, cantieri aperti e tali rimasti. Tanto che gli alvitani hanno imparato a dire “Qui c’è passato San Bernardino!”, con tanto di testa tentennante, ogni volta che un bel programma se ne va a peripatetiche.

Non una novità, quella di maledire, per padre Bernardino, che colpì con un anatema anche che gli abitanti di Rieti: si racconta, infatti, che il Santo, sviato sulla strada del ritorno da due burloni, decretò di lì a venire la perdita dell’orientamento per tutti i reatini che avessero intrapreso un viaggio.

Nulla andrà a fine ad Alvito – dicevamo – e nemmeno il furto di quelle ‘pale d’altare’, una delle quali raffigurante, appunto, proprio San Bernardino: l’unica immagine che gli inquirenti non hanno diffuso, perché, delle tre, è la più rovinata e – effettivamente – la figura di San Bernardino, più che vedere, la si intuisce: scacciato dal territorio si è eclissato anche dalla vernice del dipinto.

Poi, c’è il luogo in cui il furto è avvenuto. La chiesa di San Nicola che custodiva (malamente) le tre tele, proprietà del Fondo edifici di culto, sorge proprio nel luogo che la tradizione vuole sia il sito in cui abbia predicato il frate francescano, una settantina d’anni prima che l’edificio sacro venisse eretto. Una costruzione, quella della chiesa di San Nicola, che se pur è andata a fine, è andata a fine male: tanto da essere stata sconsacrata e, chiusa ormai da mezzo secolo, lasciata al più totale abbandono: l’interno, causa finestre eternamente rotte, è impregnato di guano di piccioni. L’edificio è stato più volte depredato. Esattamente, poi, il furto delle tre tele è collocato nell’arco temporale dal 1996 al 2007 (undici anni!), perché nessuno si era più occupato dell’edificio e delle sue opere d’arte.

Non a caso, nel 2013, davanti a quella chiesa è stato collocato un ceppo in pietra, che ricorda la (dis)avventura alvitana del santo predicatore, lì fatto collocare dal parroco del paese Don Alberto Mariani – esorcista della Diocesi – dopo un lungo mese di tridui e preghiere, per prepararsi alla riconciliazione con San Bernardino e spezzare l’anatema. Intento non proprio raggiunto, se pensiamo che, dopo 9 anni dall’erezione di quel monumento del perdono, nessuno si è curato più del frate di Siena e del luogo della perdonanza. Nulla andrà a fine, nemmeno gli atti riparatorii.

Come poteva, allora, ad Alvito, il furto di una tela di San Bernardino andare a buon fine? Un furto perpetrato, tra l’altro, proprio nella chiesa sorta sul posto dove è stata scagliata quella maledizione? Non poteva. Ed infatti non è andata per niente bene per gli incauti ladri. Le opere trafugate sono state riconsegnate, dopo una ventina d’anni, sei giorni prima della Pasqua di quest’anno. Chissà dopo quali peripezie! E senza che nessuno (parrebbe) sia riuscito a farci un affare. Nessuno sa perché. Nessuno sa dove siano state.

L’inchiesta di procura e carabinieri prosegue. Per ora è stato individuato il soggetto che ha materialmente riconsegnato le tele, un 39enne del sorano che avrebbe spiegato di aver fatto solo da fattorino. Su incarico di chi? Perché? Mesi di indagini, perquisizioni, verifiche e accertamenti vari non hanno al momento fornito risposte, né hanno portato ad individuare gli autori reali, i custodi o i mandanti. Anche perché un furto del genere o si effettua su commissione (e si sa quindi a chi portare la merce e come ricettarla) o è l’iniziativa di un improvvisato, di un principiante che pensa di fare fortuna con merce difficilmente poi collocabile sul mercato nero delle opere d’arte per chi non conosce quel mondo.

Ad ogni modo, se c’entra qualcosa San Bernardino, difficilmente l’inchiesta andrà a buon fine.

Ecco, finché non ci sarà un’altra credibile spiegazione, a noi piace questa. E piace anche pensare che, se alla fine San Bernardino, pur se in effigie – rovinata e malridotta com’è – è voluto ‘tornare’ ad Alvito, forse si può sperare che pace sia fatta.

Un particolare di una delle tre tele riconsegnate ad Alvito
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