Un settimana fa si stava votando per le Europee. Oggi siamo nel pieno degli Europei. Di calcio. Sicuramente l’affluenza (davanti ai grandi schermi) è largamente superiore di quella ai seggi. Gli italiani sognano altre “notti magiche” dopo aver disertato per oltre il 50% le urne della politica.
I partiti hanno preferito non effettuare analisi per evitare di prendere atto di situazioni complicate e sfilacciate. Siamo già oltre, al punto che l’unico impegnato in una verifica sulla propria maggioranza è il sindaco di Frosinone Riccardo Mastrangeli. Stanco di fibrillazioni, di dispettucci e di situazioni davvero complicate da capire prima che da risolvere. Ha scelto la strada dei colloqui bilaterali con ognuno dei 21 consiglieri che due anni fa componevano tutti la sua “guardia pretoriana”. I confronti vengono verbalizzati, qualcuno ha perfino ironizzato sulla parodia delle “sommarie informazioni”. Fatto sta che tra qualche giorno Mastrangeli non potrà che prendere atto di una situazione che già conosce. Ci sono 5 dissidenti: Anselmo Pizzutelli, Maria Antonietta Mirabella (Lista Mastrangeli), Giovanni Bortone (Lega), Pasquale Cirillo (Forza Italia-Frosinone Capoluogo), Maurizio Scaccia (Forza Italia). Loro chiedono tutti l’azzeramento della giunta.
I malumori però non finiscono qui: Sergio Crescenzi (Fratelli d’Italia) vorrebbe essere tenuto in considerazione come assessore, Teresa Petricca e Giovambattista Martino (Lista Ottaviani) non sono affatto d’accordo né con la loro civica né con la maggioranza su temi come l’impianto di cremazione e le politiche per contrastare l’inquinamento. Francesco Pallone (Lista Mastrangeli) è stanco delle critiche che arrivano dalla stessa maggioranza sulla gestione degli impianti sportivi. Mauro Vicano non capisce perché dopo le dimissione dell’assessore Alessandra Sardellitti non sia stato nominato subito un rappresentante di giunta nell’ambito della sua “quota politica”. Alla fine di questa fase di confronto dettagliato e verbalizzato Mastrangeli non potrà che prendere atto che la maggioranza del giugno 2022 non è più la stessa.
Andare avanti in questo modo oppure azzerare tutto e cercare di rimettere insieme i cocci? Questo è il dilemma. Di non facile soluzione. Nei mesi scorsi si è parlato molto di possibile aperture alle opposizioni, guardando ad Andrea Turriziani (Lista Marini), a Carlo Gagliardi (Lista Marzi Sindaco), a Francesca Campagiorni e Claudio Caparrelli (Polo Civico). Ma sono percorsi difficili e complicati, anche perché nel centrodestra non mancano veti verso chi alle passate elezioni si è presentato dall’altra parte della barricata.
Tra gli elementi vincenti della campagna elettorale di due anni fa, uno so tutti: la caratterizzazione totalmente civica di Riccardo Mastrangeli, che in quel modo era diventato un elemento di garanzia per tutti. Lo spostamento sulla Lega in occasione delle politiche ha modificato gli equilibri. Nell’ambito di una verifica politica seria si dovrebbe ragionare su tale elemento. Per poi scegliere la strada da seguire: azzeramento, rimpasto, perfino elezioni anticipate.
C’è da sfatare una narrazione falsa e capziosa, che vorrebbe che le nomine o le elezioni alla guida degli intermedi fossero la conseguenza della vittoria di un concorso. Non è così. Prendiamo la Saf: Cesare Augusto Fardelli diventò presidente perché sostenuto da Francesco Scalia (Pd). A votare per Mauro Vicano furono soprattutto i sindaci che facevano riferimento a Francesco De Angelis (Pd). Sempre gli amministratori del Pd (con De Angelis in regia) elessero Lucio Migliorelli. Poi alla Regione ha vinto il centrodestra e si è optato per una formula ampia e trasversale, che ha portato alla presidenza Fabio De Angelis (Fratelli d’Italia). Sulla base di un accordo raggiunto dai leader di FdI (Massimo Ruspandini) e Pd (Francesco De Angelis).
Il medesimo schema è stato costantemente usato per l’Ater e per i Consorzi industriali. Perfino alla Provincia, da quando è stata introdotta la riforma Delrio, si procede in un modo sostanzialmente identico: Antonio Pompeo fu imposto da Francesco Scalia dopo una spaccatura storica con Francesco De Angelis (che portava Enrico Pittiglio) e la votazione avvenne in un clima di derby del Pd. Luca Di Stefano è diventato presidente perché è stato sostenuto da Pensare Democratico di Francesco De Angelis (sempre lui).
In politica la riconoscenza è un sentimento sconosciuto e nessuno si meraviglia più di tanto. La politica però ha le sue regole e se vengono meno i presupposti che hanno determinato certe indicazioni, allora magari sarebbe preferibile azzerare il quadro e cambiare gli assetti.