Il deposito nazionale di scorie nucleari potrebbe sorgere nel Lazio. Infatti, quasi il 40% dei siti ritenuti idonei per la costruzione del mega-impianto è localizzato nella provincia di Viterbo: si tratta di 22 siti sui 58 ritenuti utili per la costruzione del deposito, secondo le valutazioni finora fatte dalla Sogin, società interamente partecipata dal Ministero delle economia e delle finanze che è responsabile del ‘decommissioning’ (in italiano ‘disattivazione’) degli impianti nucleari nazionali e della gestione dei rifiuti radioattivi.
Stando alle proposte avanzate fine a questo momento, i 22 siti localizzati nel Viterbese sono così collocati nella graduatoria nazionale d’idoneità: 5 siti in classe A1 (idoneità molto buona); 2 siti in classe A2 (idoneità buona); 15 siti in classe C (aree zona sismica 2).
Nella citata classe A1 (idoneità molto buona), dalla quale molto probabilmente sarà tratta la collocazione definitiva, ci sono in tutto 12 siti: 5 cinque di Viterbo, altri 5 di Alessandria e 2 di Torino.
Per la redazione della graduatoria, la Sogin ha tenuto conto di diversi parametri, in relazione alla presenza di trasporti terrestri, la presenza di insediamenti antropici, attività agrarie presenti, presenza di elementi di tutela della natura.
L’ipotesi – forse più di un’ipotesi ad aggi – che possa essere il Lazio la regione deputata ad ospitare la struttura di ‘contenimento’ delle scorie nucleari è molto dibattuta nella Tuscia, ma ha finora avuto scarsa eco nelle altre province del Lazio.
Mercoledì scorso, si sarebbe dovuto tenere un confronto in consiglio comunale a Viterbo, tra la Sogin, gli esperti, gli amministratori locali, i vari enti interessati, le associazioni e i comitati contrari all’ipotesi di insediamento dell’impianto. La Sogin, però, contrariamente a quanto era stato fatto trapelare da alcuni amministratori comunali nei giorni precedenti, ha deciso di non partecipare al dibattito.
Amministratori locali di maggioranza ed opposizione, enti, associazioni e comitati ne hanno comunque ragionato tra loro ed hanno deciso di assumere una linea condivisa al riguardo: il Comune si rivolgerà al Tar, assieme ai comitati, per contestare la legittimità dell’iter amministrativo che ha portato all’individuazione di 22 potenziali siti idonei della provincia di Viterbo, area tra l’altro a forte vocazione agricola. La decisione di rivolgersi alla giustizia amministrativa sarà formalizzata nel prossimo consiglio comunale tramite un apposito ordine del giorno che darà mandato al sindaco, Chiara Frontini, di avviare le procedure legali.
A dirla tutta, associazioni e comitati si sono già rivolti al Tar del Lazio dopo il diniego parziale o totale dell’accesso agli atti di tutta questa vicenda. Per ora il Tribunale amministrativo, con un’ordinanza (in attesa della discussione di merito), ha deciso che la Sogin non deve consegnare la documentazione richiesta poiché la procedura di individuazione del sito idoneo non è ancora conclusa e gli atti richiesti sono in realtà ancora interni ad una fase endoprocedimentale, appunto, che per sua natura non può generare alcun danno ai ricorrenti.
Al momento, infatti, la Sogin ha provveduto ad individuare i siti idonei secondo i parametri prefissati dalla legge, ha redatto una graduatoria degli stessi tra più o meno idonei, ha tenuto una consultazione pubblica affinché si potessero ricevere e valutare indicazioni dagli enti interessati e dai territori, ha svolto un seminario nazionale sull’argomento per favorire il confronto tra tutte le parti e rivisto, a termine di tali attività, la lista dei siti potenziali, trasmettendo ai ministeri competenti un’ipotesi di Carta nazionale delle aree idonee (CNAI) che dovrà essere definitivamente approvata dai dicasteri coinvolti dopo aver acquisito – tra l’altro – il parere dell’Isin, Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione. Solo dopo tutti questi passaggi, la CNAI potrà essere e resa ufficiale.
Il lungo iter verso il deposito nazionale delle scorie nucleari è partito nel 2010, quando Parlamento e Governo hanno affidato alla società pubblica del Mef l’incarico di localizzare, progettare, realizzare e gestire il Deposito Nazionale e Parco Tecnologico.
Il Deposito nazionale sarà un’infrastruttura ambientale di superficie che permetterà di sistemare i rifiuti radioattivi italiani, oggi stoccati all’interno di decine di depositi temporanei presenti nel Paese, generati dall’esercizio e dallo smantellamento degli impianti nucleari e dalle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca. Il Deposito è una struttura con barriere ingegneristiche e barriere naturali poste in serie per il contenimento della radioattività.
Il Parco Tecnologico, invece, comprenderà un centro di ricerca applicata e di formazione, aperto a collaborazioni internazionali, dove svolgere studi nel campo dello smantellamento delle installazioni nucleari, della gestione dei rifiuti radioattivi, della radioprotezione e della salvaguardia ambientale.
L’area che sarà destinataria del deposito si vedrà riconosciuti un serie di benefici diretti e indiretti per le comunità locali, come un contributo di natura economica, secondo modalità che saranno previste dalla convenzione con Sogin.
Si stima che la costruzione del Deposito Nazionale e Parco Tecnologico genererà oltre 4.000 posti di lavoro l’anno per 4 anni di cantiere, diretti (2.000 fra interni ed esterni), indiretti (1.200) e indotti (1.000).
Durante la fase di esercizio, invece, l’occupazione diretta è stimata mediamente in circa 700 addetti, fra interni ed esterni, con un indotto che può incrementare l’occupazione fino a circa 1.000 unità.