Il tavolo convocato alla Regione da Mauro Buschini e Paolo Orneli sul caso Catalent e giustamente disertato dagli industriali apre una nuova stagione nel rapporto tra il mondo imprenditoriale e la politica. Con i cento milioni e le relative opportunità perse dalla nostra provincia a favore di un distretto industriale d’Oltremanica si è superato il punto di non ritorno di un dialogo che mai era stato messo in discussione e men che mai così sdegnosamente rifiutato.
Le problematiche di una burocrazia menefreghista e paurosa che sceglie di non decidere non potranno più essere scaricate sic et simpliciter sulle spalle di aziende e imprese colpevoli solo di aver creduto nello sviluppo della propria attività sul nostro territorio.
Dovrà essere la politica ad assumersi le proprie responsabilità su decisioni non prese, su procedure troppo lunghe, su norme farraginose e da riscrivere.
Dovrà essere la politica ad avere il coraggio di prendere il toro per le corna e valutare quei casi nei quali proprio il moltiplicarsi di normative magari contrastanti tra loro richiede il ritorno al legislatore per evitare imbarazzanti “nulla di fatto” come quelli che hanno fatto perdere la pazienza ai manager di Catalent. Che alla fine hanno deciso di aprire il portafoglio dove c’erano certezze, normative più chiare e burocrazia meno asfissiante.
La perimetrazione del Sin che come abbiamo scritto nei giorni scorsi fece esultare molti sindaci per i metri quadrati in più di pertinenza del proprio Comune venne fatta per bonificare. Non per creare una specie di infernale girone dantesco per il mondo produttivo e del lavoro.
E invece di stimolare la ricerca di soluzioni con tutti gli attori del territorio coinvolti (comuni, imprese, proprietari di fondi) Ministero, Regione ed enti territoriali si sono sempre chiusi a riccio dietro il paravento del Sito di interesse nazionale non per migliorare qualcosa ma per “bloccare tutto”.
Come se “bloccare tutto” non avesse un costo sociale, come se “bloccare tutto” in tanti casi non determinasse un fallimento per imprese senza altre possibilità, come se “bloccare tutto” in nome di un risanamento senza progettualità costituisse un passo verso il miglioramento delle condizioni ambientali della Valle del Sacco.
E se Catalent rappresenta la punta dell’iceberg del problema “burocrazia” esasperato dal perimetro del Sin non dobbiamo commettere l’errore di dimenticare i problemi di chi non riesce nemmeno a superare i primi gradini dell’enorme scoglio burocratico che si frappone, in questa disgraziata zona del nostro paese, tra un progetto e la sua realizzazione. Un conto è rapportarsi con la Pubblica Amministrazioni forti di staff di professionisti e capitali da investire. Un conto è farlo, come tanti piccoli e medi imprenditori, rivolgendosi alle banche per trovare i capitali e con la spada di damocle di tempi stringenti per realizzare i progetti. Con il rischio concreto, spesso, di perdere tutto.
Ecco perchè diventa urticante assistere a un incontro intriso di ipocrisia come quello di lunedi alla Regione. Incontro dove oltre ai numerosi “auspici” per il futuro nessuno è stato in grado di indicare le vere responsabilità della vicenda e nel corso del quale non si è detta e scritta una parola chiara su come evitare altre Catalent.
Perché deve essere chiaro che è una catastrofe la perdita di cento milioni di euro di investimento da parte di una multinazionale. Ma è allo stesso modo una catastrofe ogni volta che un singolo imprenditore smette di mettersi in gioco stufo delle angherie, dei soprusi e della disattenzione dello Stato nei suoi confronti.