Mondiali basket: la Germania che non ti aspetti beffa le grandi. I perché di una rivoluzione

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I titoli mondiali e olimpici del basket sono da sempre monopolio di quattro o cinque rappresentative nazionali: oltre ai maestri Usa, hanno frequentato il più alto gradino del podio la Serbia, la Spagna, l’Argentina e, in tempi meno recenti, la Jugoslavia e l’Unione Sovietica. Un club esclusivo, che fatica ad ammettere nuovi membri, come hanno visto sulla loro pelle, in tempi più o meno recenti, Francia, Slovenia, Grecia e la stessa Italia.

A infrangere il monopolio, sorprendentemente, è arrivata… la Germania, che non riuscì ad essere tra le grandi ai tempi di Dirk Nowitzki ed ha centrato il colpaccio ora, a dispetto dei pronostici che la vedevano a malapena tra le prime otto. Chi sono allora gli eroi che hanno fatto saltare il banco nel mondiale filippino?

A far la voce grossa sotto i tabelloni Voigtmann, reduce da una stagione con l’Armani Milano che definire deludente sarebbe un eufemismo. A prendere per mano la squadra Dennis Shroder, genio e sregolatezza, per fortuna dei tedeschi in questo mondiale solo genio. L’unica alzata di scudi in un time out, quando ha intimato al coach Gordon Herbert di non toccarlo, avendo ricevuto una pacca su una spalla.
In semifinale e in finale, il nuovo acquisto di Toronto ha però fatto la differenza, esaltandosi contro USA e Serbia, probabilmente le squadre più attese della competizione iridata. Obst, Wagner (MVP della finale) e Thies completano il quintetto della “rivoluzione tedesca”, per uno scacco a re e regine che davvero non ha precedenti nella storia della disciplina.

LE SQUADRE SCONFITTE

Gli Usa, senza le stelle di prima grandezza della NBA, ma con un organico comunque superiore a tutte le altre formazioni, hanno pagato la scarsa attenzione difensiva. Di fatto solo nel quarto contro l’Italia Banchero e compagni si sono ricordati che nel basket l’intensità difensiva conta tanto quanto quella offensiva e forse un po’ di più.

I 113 punti subiti nella semifinale contro la Germania sono eloquenti al riguardo e sottolineano in modo impietoso quanto poco piaccia a Edwards e soci ripiegare e sacrificarsi nella fase difensiva.
All’ultimo atto è invece arrivata la Serbia, priva di Jovic, Micic e Kalinic. Dopo l’imprevisto capitombolo contro gli azzurri, Bogdanovic e compagni hanno marciato compatti fino alla finale, nel cui contesto le sciagurate iniziative nei minuti finali di Goduric si sono rivelate determinanti in negativo per i serbi.
Peggio, molto peggio, hanno fatto Francia e Australia, che però erano partite con ben riposte ambizioni.
Doncic non è bastato alla Slovenia, il Canada ha pagato l’estro a volte esasperato e tradotto in frenesia, ma poi si è portata a casa un comunque storico terzo posto.

E l’Italia? Conserverà il ricordo della terza vittoria di fila sulla Serbia e la consapevolezza di aver giocato alla pari con tutti, meno gli USA. Senza Gallinari e senza un pivot di ruolo, aver raggiunto i quarti di finale rappresenta un motivo di soddisfazione. Due sconfitte di misura ci hanno relegato all’ottavo posto, ma la squadra c’è e può solo crescere in vista di Parigi. Pozzecco deve limitare la propria esuberanza e continuare in un processo di crescita che pare ben avviato.

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