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Per chi non lo avesse capito: con “schifezze” tipo il Sin siamo a un passo dal baratro

Massimo Pizzuti
Sentire autorevoli esponenti politici di questo territorio sottrarsi dalla responsabilità solo per mancanza di competenze dell’ente regione è sconcertante. Come se al governo non ci fosse, da dieci anni, la stessa filiera che governa il Lazio
Aprile 15, 2022

Dicono che l’improbabile sindaco Bassetta, quando riuscì a far “perimetrare” quasi tutta Anagni, si faceva forte con i suoi amici del Pd per il successo ottenuto. E raccontano anche di qualche altro sindaco che non vedeva l’ora di aumentare i territori comunali compresi nel Sito di interesse nazionale. Giravano voci di milioni di euro a disposizione per le bonifiche. E tutti pronti a sacrificare centinaia di migliaia di metri quadrati di territori in previsione delle generose contribuzioni statali per riportare tutto a nuovo.

Sono passati 17 anni da quando nel 2005 esplose l’emergenza ambientale della Valle del Sacco. Ne sono passati 6 da quando è stato finalmente definito il perimetro delle aree del famoso Sito di interesse nazionale.

Ma è dall’inizio di questa storia che i problemi per tutto il mondo imprenditoriale che insiste sul territorio si sono andati via via moltiplicando. Con una classe politica che, al di la delle promesse, non ha mosso un dito per modificare tutta una serie di norme che hanno finito per strangolare ogni tipo di progetto, di investimento, di riqualificazione produttiva nelle aree comprese nel famoso perimetro. 

I sindaci che allora chiedevano di “perimetrare” con disinvoltura cercando di speculare sui futuri benefici statali hanno ben compreso il danno  al quale hanno esposto il proprio territorio. Basti pensare, ad esempio, a tutta una serie di lavori edili per cui molte aziende sono costrette ad un’iter burocratico che spesso si rivela un vero e proprio inferno fatto di progetti, consulenze, conferenze di servizi, implementazione di documentazione… Un calvario senza fine per ottenere il permesso per una recinzione, per un muretto, per minimi ampliamenti di superfice. 

L’incidente che prima o poi doveva accadere: la burocrazia manda in fumo cento milioni di investimento

Il caso Catalent è l’incidente che prima o poi doveva accadere. Una multinazionale che stanzia cento milioni di euro, prevede di realizzare un centro di formazione di eccellenza in collaborazione con diverse Università tra cui quella di Cassino, un polo di ricerca interno. Programma l’assunzione di cento unità altamente qualificate, inizia l’iter autorizzativo nel 2019 e quando nel 2022 chiede informazioni e una data certa sulla realizzazione del progetto alla sua controllata italiana, riceve una risposta sconsolata e terribilmente realistica. Nessuno può dire quando si arriverà al via libera formale da parte del Mite. Ecco allora che i cento milioni vengono spostati dalla disponibilità della controllata italiana ad un analogo investimento in Inghilterra. Senza troppe chiacchiere. Senza possibilità di appello. 

La pavidità di chi si nasconde dietro la propria “incompetenza” 

Il caso Catalent è l’incidente che mette la politica del “selfie” facile e dell’inaugurazione del nulla di fronte allo specchio della vergogna. Perdere cento milioni di euro di investimenti in un periodo così difficile e pieno di incognite non può essere un fatto a cui non corrispondano precise responsabilità. Come non pensare, per esempio, all’inutile sottosegretario alla transizione ecologica Ilaria Fontana (proprio lei, eletta qui a Cassino). Guarda caso è proprio dal suo ministero che non sono arrivate le risposte che erano attese. 

O come non indignarsi per l’atteggiamento pavido e indifferente della regione rispetto ad una normativa che “espelle” e respinge gli investimenti da un territorio che muore.

Sentire autorevoli esponenti politici di questo territorio sottrarsi dalla responsabilità solo per mancanza di competenze dell’ente regione è sconcertante. Come se al governo non ci fosse, da dieci anni, la stessa filiera che governa il Lazio. Come se la discussione in Parlamento su norme anacronistiche come quelle che regolano le autorizzazioni in area Sin non possa e non debba essere sollecitata proprio dalla Regione maggiormente colpita da queste assurde restrizioni.

Ma qui torna il ragionamento relativo ai nostri rappresentanti. Forti nel loro orticello elettorale in provincia, deboli ed asserviti ai padroni romani appena dentro il raccordo anulare.

Tutto questo mentre il pragmatismo di qualificati tecnici ed esperti ambientali suggerisce soluzioni a costi accessibilissimi indagini attraverso carotaggi e analisi che determinino solo le zone realmente a rischio liberando da vincoli, laccioli e burocrazia tutte le altre.

Ma forse sarà proprio la soluzione a portata di mano, l’obiettivo raggiungibile a costi accessibili, la possibilità di sbloccare tutto scavalcando la burocrazia a mettere paura a quel modo di fare politica che trova il proprio punto di partenza dalle difficoltà create a tavolino e dal “No” a prescindere.  

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