Cento anni fa si consumava uno dei genocidi più atroci che mente umana abbia mai concepito: quello per fame. Teatro di tanta belluina ferocia l’Ucraina, tanto per cambiare, paese che da secoli è chiamata a regolare conti con uno scomodissimo dirimpettaio, un condòmino rodomonte che spadroneggia sul pianerottolo di casa imponendo regole di convivenza autoritarie. Un confinante verso il quale il popolo di Kiev ha sempre nutrito un ‘metus hostilis’ di quelli che avrebbe sfiancato un bue.
La crisi di cui stiamo parlando è il cosiddetta Holodomor, vale a dire la carestia indotta che si abbatté sul territorio ucraino nel biennio 1932-33 causando una quantità incredibile di morti: 6 milioni di povericristi. La strage fu voluta da Stalin che giustificò il crimine pretestuosamente accusando gli ucraini di contestare il sistema della proprietà collettiva. Tutte le risorse agricole furono requisite e la popolazione affamata. Un quarto della popolazione rurale, uomini, donne e bambini, fu così sterminata per fame. I cadaveri giacevano per strada senza che i parenti, anch’essi ormai in fin di vita, avessero la forza di seppellirli.
La carestia determinò, insieme all’annientamento dei contadini, lo sterminio delle élites culturali, religiose e intellettuali ucraine, tutte categorie considerate “nemiche del socialismo”. Secondo i dati dei ricercatori, le regioni più colpite dalla carestia con il 52,8% delle vittime furono l’attuale regione di Poltava, la regione di Sumy, quella di Kharkiv, di Cherkasy, di Kyiv e la regione di Zhytomyr. Ma Holodomor nessuno dei punti cardinali dell’Ucraina.
“La Grande Fame è stato un progetto mirato, pensato in dettaglio ed effettuato con un sadismo politico senza precedenti – commenta Oxana Pachlovska, docente di Ucrainistica alla Sapienza di Roma -. È stato un progetto di annullamento dell’identità ucraina, progetto del suo sradicamento e della trasformazione di questo Paese in un’inerme spazio piegato al sistema totalitario. Per quel che riguarda le vittime è stata forse una delle forme di sterminio più atroci perché ha lacerato il tessuto familiare insieme a quello nazionale, ha condannato la madre a essere testimone impotente della morte dei propri figli, ha sradicato il senso della casa e dell’appartenenza culturale ed affettiva”.
La fame nera che cinse alla gola il popolo ucraino sfociò perfino in episodi di cannibalismo. Gli obiettivi di questo orrore? Economici, politici, culturali. Quello economico era evidentemente il più visibile. In nome della ‘dittatura del proletariato’ occorreva industrializzare il Paese in poco tempo. Agli occhi di Stalin la campagna era da un lato un freno all’industrializzazione, dall’altro una grande risorsa. Vendendo all’Occidente il grano sequestrato, e in gran parte anche alla Germania nazista, eliminando il settore privato, Stalin otteneva lo ‘stato proletario’ più uniforme, e faceva accrescere le risorse per la sua militarizzazione e per la preparazione alla guerra.
L’obiettivo politico era più sofisticato. In sintesi, si trattava dell’eliminazione di una categoria sociale che era comunque contraria al sistema comunista, e alla fine di un vero e proprio genocidio dell’intera nazione. La campagna ucraina era portatrice di una tradizione linguistica, culturale ed economica molto forte. Sterminare da una parte praticamente tutti gli intellettuali (stesso obiettivo di Mao) e dall’altra l’universo contadino significava eliminare l’Ucraina come fattore nazionale ribelle che impediva il consolidarsi della dittatura comunista ‘senza classi né nazioni’.
“Fu una ‘iniziazione’ al Crimine come Normalità. Ed è stata una forma di atrocità estesa nello spazio e nel tempo, atrocità che ha cancellato il senso del dolore, della solidarietà, della misericordia, aiutando a trasformare l’URSS in una piramide d’acciaio delle politiche ha annullato qualsivoglia dimensione umana – continua la Pachlovska . Tutta la società doveva diventare complice del crimine: quei contadini russi mandati nelle campagne ucraine coperte di cada- veri, che buttavano coi forconi i resti degli ucraini e occupavano dopo le loro case, oppure i komsomoltsy del loco che caricavano sui carri i vivi e i morti per buttarli insieme nelle tombe comuni.
I sopravvissuti, diventando ‘cittadini del terrore’, si spogliavano volontariamente dalla memoria divenendo materiale inerme da plasmare e da strumentalizzare. Molte storture politiche e sociali del mondo postsovietico sono in gran parte imputabili a quell’impunito eccidio di milioni di ucraini”.