Oltre 160.000 persone nel Lazio percepiscono il reddito di cittadinanza. Nel solo periodo tra luglio ed agosto 2022, il numero dei percettori della sovvenzione economica è aumentato di 10.000 unità. Rispetto al 2019 – anno di introduzione del RdC – il numero delle persone che beneficiano nella nostra regione della misura di contrasto alla povertà è costantemente cresciuto, nonostante nelle intenzione del legislatore il reddito dovesse rappresentare una misura momentanea per dare sostegno alle persone disoccupate o inoccupate, in attesa che la veloce riorganizzazione dei centri per l’impiego permettesse loro di trovare lavoro, portandoli fuori dal bacino dei soggetti titolari dell’ammortizzatore sociale. Tutto ciò però non è mai avvenuto: né nel Lazio, né nel resto d’Italia.
Nel 2019, dati del Monitoraggio allora svolto dalla Regione sulla prima applicazione del reddito, nel Lazio risultavano essere 158.676 le persone che ricevevano mensilmente il RdC (oltre 12.600 persone titolari di pensione di cittadinanza) per un totale di 79.453 famiglie.
Un esercito di percettori che però, secondo gli annunci dell’allora governo Conte I e della regione Lazio – che nei grillini aveva una necessaria stampella al governo Pd – sarebbe stato presto sfoltito ed avviato a lavoro. Una sicurezza assoluta che nel settembre 2019 (da 10 giorni si era insediato il Conte II) veniva ribadita convintamente dall’assessore regionale al Lavoro del Lazio, Claudio Di Berardino, il quale, nel corso del convegno “Combattere la disoccupazione di lungo periodo: il ruolo della società civile organizzata”, annunciava come, con l’avvio della ‘fase due’ del reddito, i 35 centri per l’impiego del Lazio avrebbero provveduto a contattare 400 persone al giorno (destinatarie del RdC) per raggiungere l’obiettivo della convocazione, entro il 13 dicembre, del primo blocco di nominativi pari a 28mila soggetti.
A dare manforte alle Regioni nel collocare o ricollocare a lavoro i percettori del reddito, sarebbero dovuti poi arrivare i navigator, figure professionali previste dallo stesso decreto di introduzione del RdC, e qualificate come professionisti in grado di coordinare e affiancare i centri dell’impiego nella gestione della domanda di lavoro. Sappiano come è andata a finire: i navigator selezionati e formati a livello nazionale, sono stati assegnati ai vari centri per l’impiego e hanno provato a svolgere al meglio la loro missione, ma con scarsi risultati fino a diventare loro stessi sempre più precari e prossimi alla disoccupazione: con il recente decreto ‘Aiuti’, il Governo Draghi ha dovuto stanziare 13 milioni di euro per salvarli dalla scadenza contrattuale inizialmente fissata per l’1 giugno. Ora la palla passerà alle Regioni che fino al prossimo ottobre potranno contare sui fondi statali messi a disposizione. Poi o i navigator verranno assunti con concorsi pubblici regionali (sfruttando il maggior punteggio maturato con questa esperienza) oppure avranno a loro volta bisogna dei… navigator.
Oggi, secondo i dati riferiti dalla sigla sindacale Ugl, nel Lazio i percettori di Reddito di cittadinanza sono saliti a 163.000 unità con una grossa fetta (il 41%) di età compresa tra i 45 e i 65 anni e quindi in una fascia in cui è sempre molto difficile trovare una nuova collocazione lavorativa.
Numeri che il Segretario Regionale dell’Ugl Lazio Armando Valiani ha messo alla base della sua proposta di rivedere lo strumento trasformandolo in un “reddito di responsabilità: che dovrà essere accompagnato da efficaci politiche attive, favorendo le imprese che assumono e la formazione o il miglioramento delle competenze di tutte quelle persone che oggi non trovano più una ricollocazione o una prima collocazione nel mercato del lavoro”.
Perché la maggior critica che viene mossa al RdC è quella di esser rimasto una forma di sussidio senza alcuna politica attiva di sostegno al lavoro. “La Regione Lazio non ha mai affrontato il problema con le dovute attenzioni nonostante le numerose nostre sollecitazioni – ha aggiunto Valiani -. Il reddito di cittadinanza, che per molti aspetti ha fallito nella sua mission, era nato per sostenere i disoccupati durante i mesi della ricerca di un lavoro, tempi che dovevano essere stretti perché a trovare loro un’occupazione doveva essere lo Stato attraverso i navigator e i centri per l’impiego che, però, non hanno funzionato: Abbiamo più volte sottolineato la necessità di riformare i Centri per l’impiego (Cpi) che così come sono concepiti oggi – spiega Valiani – non riescono ad assolvere al loro compito di far incontrare la domanda con l’offerta. È bassa, infatti, la percentuale di coloro che trovano un lavoro passando per i Cpi. Manca strategia, visione e la volontà di puntare sulla digitalizzazione che oggi è strumento indispensabile. Solo con un percorso formativo adeguato potranno trovare una nuova collocazione. Ecco perché occorrono un maggior impegno per le politiche attive”.