Regione Lazio, ecco perché i conti… finalmente potrebbero tornare

La riduzione di 13 miliardi di debito va nella direzione intrapresa dall’assessore Giancarlo Righini: rigore e sobrietà. Ora si liberano ingenti risorse per gli investimenti. Ma tra la Pisana e la Cristoforo Colombo non sono tutte rose e fiori… Intanto a Sinistra si inseguono le piazze e si proclamano scioperi. Senza preoccuparsi di un paese che arranca…
La Conferenza Stato-Regioni ha stabilito che saranno cancellati i debiti relativi alle anticipazioni per disavanzi sanitari e quelli per le anticipazioni per pagamenti di debiti commerciali. La norma comporta l’eliminazione di 31 miliardi di euro di debito dai bilanci delle Regioni a Statuto ordinario, con un effetto rilevante sullo stato patrimoniale degli enti e sulla loro capacità di investimento.
Riguardo al Lazio, i numeri sono questi: diminuzione della massa debitoria di 13 miliardi di euro e possibili investimenti per 500 milioni fino al 2029.
Questa norma in sostanza non cancella il debito ma contabilmente permette alla Regione di operare con un bilancio pulito e di competenza liberato dal macigno dei debiti contratti nel corso degli anni e delle precedenti amministrazione. A “liberarsi” saranno importantissime ed ingenti risorse che potranno essere investite su interventi infrastrutturali. È una pagina storica frutto di un lavoro enorme e puntuale portato avanti senza sosta dal momento dell’insediamento della giunta da parte dell’Assessore al Bilancio Giancarlo Righini e dal suo staff.
L’assessore ha sottolineato il risultato con estrema sobrietà, non ricorrendo all’enfasi consapevole peraltro che pur sotto una forma diversa e meno invasiva le cose, dal punto di vista economico, dovranno essere rimesse a posto. Anche se indubbiamente l’elemento che sta caratterizzando la legislatura regionale (che va avanti ormai da quasi trentadue mesi) è il miglioramento dei conti pubblici.
A fine maggio Moody’s ha alzato l’Outlook della Regione Lazio da “stabile” a “positivo”, confermando il rating a Baa3. E Giancarlo Righini ha spiegato: “Per il secondo anno consecutivo Moody’s premia le politiche economiche dell’Amministrazione regionale, riconoscendo il nostro lavoro di risanamento dei conti, passati da un debito iniziale di 22,4 miliardi di euro, agli attuali 21,3 miliardi”.
Alla base del miglioramento dei conti regionali, ci sono diversi fattori: a cominciare dal consolidamento degli equilibri di bilancio. C’è indubbiamente un filo comune che lega i destini e le prospettive del Governo nazionale guidato da Giorgia Meloni e quello regionale di Francesco Rocca. L’elemento decisivo è quello dei conti in ordine.
A fronte di questo elemento di assoluta soddisfazione restano però tante altre criticità che tra la Pisana e la Cristoforo Colombo continuano a destare perplessità. Dalla sanità ai rifiuti (argomenti centrali nel dibattito pubblico) i risultati tardano a vedersi. Anche le dichiarazioni di Rocca sul tema rifiuti nei giorni scorsi sono apparse piuttosto estemporanee e una vera politica regionale che scarichi a terra la grande intesa tra il governatore Rocca e il sindaco Gualtieri tarda a vedersi. Grandi aspettative, con il cambio di vertice all’Astral anche per le due infrastrutture che potrebbero cambiare il destino della provincia pontina: la Cisterna-Valmontone e la Roma-Latina.
Preoccupa e non poco l’impasse sull’Urbanistica e sulla Formazione con l’assessore Schiboni (e Forza Italia) in grande difficoltà su due tematiche che non possono permettersi lo stallo attuale.
Tornando al risultato ottenuto con i 13 miliardi di riduzione del debito volendo fare un paragone calcistico, tutte le grandi squadre che hanno segnato dei cicli storici (dalla Juventus di Giovanni Trapattoni al Milan di Arrigo Sacchi, all’Inter di Josè Mourinho) hanno avuto il punto di forza nella difesa. Insomma, primo non prenderle. Stesso ragionamento per l’amministrazione regionale che sul punto sta dando dimostrazione di aver inquadrato bene il periodo storico che stiamo vivendo. L’Italia non è più quella dello “spread” che porta alla caduta dei Governi. Forse è arrivato il momento fare alcune considerazioni. Fu proprio lo “spread” a livelli altissimi (arrivò a toccare 575 punti) la causa, nel 2011, della caduta del Governo presieduto da Silvio Berlusconi, che rassegnò le dimissioni nelle mani dell’allora Capo dello Stato Giorgio Napolitano. Tra le proteste di piazza e il tripudio della sinistra radicale e forcaiola. Ma quella è stata una pagina buia da qualunque parte la si veda, perché ha trasmesso il messaggio che in Italia i Governi legittimamente eletti dai cittadini possono cadere per motivi esterni, imprevedibili, che nulla hanno a che fare con le dinamiche democratiche. Da quel momento in poi si sono alternati Esecutivi tecnici (Mario Monti e Mario Draghi) e Governi debolissimi e assai eterogenei nella loro composizione. Un esempio su tutti: quello gialloverde tra Cinque Stelle e Lega, con Giuseppe Conte a Palazzo Chigi. Poi c’è stato il Conte bis, con la sostituzione del Carroccio a vantaggio del Pd di Nicola Zingaretti. La solidità del Governo di Giorgia Meloni sta proprio nella tenuta dei conti pubblici e in una politica estera saldamente ancorata alle radici della Nato e dell’Occidente.
Un’ultima considerazione per il centrosinistra nazionale. A proposito della sconfitta delle Marche, Matteo Renzi ha sottolineato come nella manifestazione di chiusura sventolassero molte bandiere palestinesi. Per il leader di Italia Viva una causa giusta, che però nulla c’entra con i problemi reali e concreti delle Marche. Perché dalle Regioni ci si aspettano risposte sulla sanità, sulla gestione dei rifiuti, sui trasporti, sugli investimenti per lo sviluppo. Eppure il centrosinistra, nonostante le molteplici batoste, non cambia linea. Come dimostra lo sciopero generale di oggi indetto dalla Cgil, peraltro giudicato illegittimo dal Garante per mancanza di preavviso. Come può lo sciopero aiutare la causa palestinese?