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Ricerca scientifica nel Lazio, una realtà tra luci e ombre

Redazione
La Regione finanzia i primi 2.000 ricercatori mentre il sindacato Usb denuncia tutte le criticità.
Settembre 23, 2022

Nei giorni scorsi, la Regione Lazio ha provveduto a stanziare i primi contributi per ricercatori e assegnisti di ricerca che operano nelle strutture pubbliche e private della regione.

Il bando di finanziamento è ancora aperto e nei primi 60 giorni ha visto presentate oltre 2.000 richieste. Circa 1.900 quelle accolte con l’erogazione di 2mila euro per ricercatore. L’importo è a fondo perduto ed è rivolto a ricercatori strutturati e precari, universitari e non, compresi gli assegnisti di ricerca con un reddito lordo annuo inferiore a 63.095,00 euro e operanti nel Lazio. Certo, non una somma da capogiro ma comunque un riconoscimento ed un sostegno all’attività scientifica svolta, con la finalità di incentivare la competitività e qualità della produzione scientifica. Del resto, la Regione impegna ogni anno circa 10 milioni di euro – l’iniziativa si estende anche sui prossimi sei anni per un totale di 70 milioni di euro – per essere vicina al mondo della ricerca.

Un primo dato interessante è che su 1.900 beneficiari del contributo ben il 51% sono risultate essere donne.

“L’iniziativa – hanno spiegato dalla Giunta regionale – si inserisce in una strategia più ampia a favore della ricerca e dei ricercatori perseguita in questi anni con i Piani triennali per la ricerca e il trasferimento tecnologico, la Programmazione POR FESR 2014-2020 e gli Accordi di Programma Quadro con i Ministeri competenti, grazie ai quali sono stati destinati alla ricerca oltre 380 milioni di euro. Nel nuovo POR 2021-2027 gli investimenti in ricerca toccheranno il traguardo di circa 500 milioni, per questo la Regione Lazio ha voluto attuare una misura strutturale e che possa offrire un sostegno concreto e duraturo negli anni”.

Ma il mondo della ricerca scientifica, nel Lazio ma non solo nel Lazio, vive comunque un momento difficile. A denunciarne tutte le criticità, è stata nei giorni scorsi, la sigla sindacale Usb che ha evidenziato come i ricercatori italiani impiegati nel pubblico abbiano i salari più bassi rispetto ai maggiori paesi europei e anche rispetto al settore privato. Oltre ai salari bassi ci sono poi le difficoltà legate alle carriere difficili e il precariato, che rappresentano di fatto un deterrente per chi vuole lavorare nella Ricerca e indirizza i giovani verso l’estero oppure verso il settore privato.

Problemi che deriverebbero – secondo Usb – dall’assenza di una governance unitaria e di un comparto di contrattazione dedicato insieme all’insufficienza di risorse, costituendo così un ostacolo insormontabile per affrontare e risolvere le criticità.

La sigla sindacale chiede una legge di sistema che porti ad una governance unitaria, restituisca un comparto autonomo di contrattazione e fornisca le risorse per rilanciare il settore e renderlo attrattivo attraverso l’aumento dei salari, un sistema trasparente di reclutamento, una dinamica di carriera e la stabilizzazione dei lavoratori precari, rammaricandosi di come la campagna elettorale abbia dimenticato tra i suoi temi proprio la ricerca pubblica.

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