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Scivoloni e gaffe: il nervosismo del Pd alla vigilia del voto. Il motivo? L’esito del braccio di ferro tra Battisti e Pompeo

Licandro Licantropo
Nel Lazio il centrodestra non vince da parecchio tempo (dal 2010) e nelle ultime due occasioni i successi di Nicola Zingaretti sono stati favoriti anche dalle spaccature della coalizione avversaria. Stavolta è diverso, perché Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Silvio Berlusconi e Maurizio Lupi hanno voluto manifestazioni unitarie
Febbraio 7, 2023
Sara Battisti - Antonio Pompeo

Nel caso di una vittoria (altamente probabile) di Francesco Rocca e del centrodestra, il Pd sarebbe capace di ripartire dall’opposizione? Guardando a quello che sta accadendo a livello nazionale, i dubbi non mancano. Nel Lazio forse sarebbe addirittura più complicato, perché parliamo di una classe dirigente importante che ha governato per dieci anni.

Non soltanto Nicola Zingaretti (adesso deputato semplice): lo stesso Alessio D’Amato, Daniele Leodori, tanti assessori e consiglieri, l’ideologo Goffredo Bettini, ma anche una vasta area che politica e perfino culturale. Il nervosismo del Pd in questi ultimissimi giorni di campagna elettorale si spiega anche così.

PD: DUE AUTOGOL IN POCHE ORE IN CIOCIARIA

Ieri sembrava di essere tornati alle note vicende di qualche mese fa. Tutto perché nel corso di un comizio ad Aquino di domenica scorsa, Sara Battisti (vicesegretario regionale del partito e capolista) si è lasciata andare a questa considerazione: “Francesco Rocca non è un ragazzo che ha avuto un momento di fragilità quando la madre stava male: Francesco Rocca è legato al clan di Ostia che gestisce il narcotraffico e per questo ha legami profondi con quei tessuti mafiosi e illegali che abbiamo combattuto sul litorale romano”.

La notizia diventa virale in pochi minuti. La Battisti capisce di averla fatta grossa e corregge il tiro drasticamente: “Nel mio intervento ho rivolto accuse offensive e che non hanno alcun tipo di fondamento nei riguardi del candidato presidente del centrodestra, Francesco Rocca”. Quest’ultimo decide di “graziare” l’esponente Dem: “Avevo intenzione di denunciare la Battisti, ma le sue scuse pubbliche sono sufficienti. Per me incidente chiuso”. Nelle stesso ore il sindaco di Paliano Domenico Alfieri scrive su facebook: “A Paliano stasera era già Carnevale. Ho intravisto anche simpatici personaggi che indossavano il fez. Allegria”.

In realtà nessun fez, ma il copricapo di un prete ortodosso, Sergio Arduini, presente ad un comizio di Fratelli d’Italia. Segnali evidenti di nervosismo politici. Ma il discorso forse è più ampio e riguarda le strategie (anche di comunicazione) di un Partito Democratico mai capace di andare oltre gli attacchi all’avversario. Un modello che non funziona più, spazzato via dal trionfo di Fratelli d’Italia e di Giorgia Meloni il 25 settembre 2022.

TRA BATTISTI E POMPEO

Non sarà per niente uguale se verrà eletto consigliere regionale del Lazio Sara Battisti o Antonio Pompeo. La prima è la numero due di Pensare Democratico di Francesco De Angelis, la corrente maggioritaria del partito da decenni, che ha sempre espresso un consigliere regionale: dallo stesso Francesco De Angelis per arrivare a Mauro Buschini e alla stessa Sara Battisti. Uno scranno nel consiglio della Pisana è fondamentale nelle geometrie del territorio. Da quello dipende la possibilità di contare su una larga maggioranza interna e quindi di indicare i presidenti dei vari enti intermedi: dai Consorzi alla Saf.

Certamente stare in maggioranza alla Regione è meglio, ma anche dall’opposizione ci  sono spazi significativi. L’elezione di Sara Battisti è vitale per queste ragioni. Se invece dovesse farcela Antonio Pompeo, cambierebbe tutto. Forse perfino nel partito visto che il congresso bussa alle porte. L’ex sindaco di Ferentino non si sta risparmiando in campagna elettorale e anche lui sa cosa si sta giocando davvero. Per farcela entrambi dovrebbe vincere Alessio D’Amato, il che non è semplicissimo. Se uno solo ce la farà, nel Pd ciociaro cambieranno comunque molte cose, anche perché non ci sono i presupposti per una pacificazione interna.

COME UN VOTO DI FIDUCIA

Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha detto domenica scorsa che quello del Lazio sarà come un voto di fiducia sul Governo presieduto da Giorgia Meloni. Alessio D’Amato ha interpretato la dichiarazione come un segnale di debolezza. Nel senso che quando si chiede la fiducia (in Parlamento), lo si fa per blindare la maggioranza. In realtà Tajani ha voluto semplicemente parlare in modo diretto, senza le solite formule di una politica ipocrita.

Nel Lazio il centrodestra non vince da parecchio tempo (dal 2010) e nelle ultime due occasioni i successi di Nicola Zingaretti sono stati favoriti anche dalle spaccature della coalizione avversaria. Stavolta è diverso, perché Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Silvio Berlusconi e Maurizio Lupi hanno voluto manifestazioni unitarie. Eleggere Francesco Rocca presidente della Regione Lazio rappresenterebbe una vittoria molto importante e contemporaneamente darebbe al Pd una mazzata politica fortissima. Per questo motivo sarà un voto di fiducia.

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