Nuovo stop produttivo (dal 3 al 7 novembre) per lo stabilimento di Piedimonte. Situazione disperata. L’allarme del leader di Azione di qualche giorno fa è stato ignorato.
Giuseppe Conte confermato alla guida del Movimento: era l’unico candidato e si votava con una sorta di referendum.
In realtà non è una doccia fredda, perché tutto portava alla decisione ufficializzata qualche giorno fa per lo stabilimento Stellantis di Piedimonte San Germano a Cassino. Vale a dire il nuovo stop produttivo per l’intera settimana tra il 3 e il 7 novembre. Si fermeranno i reparti di montaggio, lastratura e verniciatura. Nei due della “carrozzeria” sarà in servizio soltanto il personale necessario al riavvio degli impianti. Tutti gli altri addetti resteranno a … casa. E in “cassa”. Secondo gli ultimi dati Fim-Cils, Cassino Stellantis ha prodotto poco più di 14.000 vetture (-28,3% sul 2024) nei primi nove mesi dell’anno. Il 2025 si potrebbe chiudere sotto quota 20.000. Un disastro. Nei giorni scorsi il leader di Azione Carlo Calenda, dopo la visita dello stabilimento, ha usato parole di fuoco. Dicendo: “Io sono venuto qui nel 2017, quando avevamo fatto Industria 4.0, e Marchionne mise la Stelvio, e noi andavamo a 135.000 macchine prodotte. Quest’anno saremo a 16.000, poco più di un decimo. E la verità è che tutte le promesse degli Elkann sui nuovi modelli non si sono avverate e dall’altro lato il governo non sta facendo nessun provvedimento sul costo dell’energia e su tutto il resto. Sono andato fuori dalla fabbrica. Io ho lavorato in Ferrari, ho lavorato in Maserati, ho lavorato nel gruppo Fiat: non ho mai visto una fabbrica ridotta così. Cioè, quelle sterpaglie davanti ai cancelli, pecette al posto di nuove insegne… cose che in Fiat non si erano mai viste” Il leader di Azione sottolinea come il complesso produttivo sia in stato di abbandono. Calenda pensa che Elkann vada richiamato ai suoi impegni, ma anche che ci sia un pacchetto di interventi del governo sull’automotive che consenta al settore di stare in piedi. “Tutti sono consapevoli che la situazione è drammatica. E’ un’emergenza nazionale e non viene trattata come emergenza nazionale”.
Calenda continua a ripetere, un giorno sì e l’altro pure, che “John Elkann non può restare ai vertici di Stellantis”. Posizioni forti, alle quali nessuno risponde. Ma che lo stabilimento cassinate di Stellantis sia in condizioni disastrate lo vedono tutti. E da questo punto di vista, oltre che per Elkann, il non pervenuto, sottinteso, è per il ministro dello Sviluppo Economico, Adolfo Urso che tra i componenti dell’esecutivo di Giorgia Meloni, non sta certo brillando come, ahimè, come sarebbe stato necessario per la nostra provincia.
LE 5 STELLE CADENTI BRILLANO UN PÒ SOLO PER GIUSEPPI, UN LEADER ALLA DERIVA.
Erano 101.783 gli iscritti aventi diritto al voto. Hanno votato in 59.720, pari al 58,67%. Al quesito: “Sei favorevole all’elezione di Giuseppe Conte quale presidente dell’associazione Movimento 5 Stelle?” hanno detto “sì” 53.353 persone. I “no” sono stati 6.367. In questo modo l’avvocato Giuseppe Conte è stato confermato presidente del Movimento Cinque Stelle.
Per sapere come è andata vale la pena leggere la ricostruzione del quotidiano Il Giornale: “Eppure non è che mancassero sfidanti: per la leadership erano arrivate ben 77 candidature. Di queste, 56 sono state escluse perché non rispettavano i requisiti. Degli altri 20 pronti a mettersi al comando nemmeno uno è riuscito a raccogliere tra il 17 e il 22 settembre le almeno 500 firme richieste per poter correre alla carica… Da giovedì 23 (ndr: ottobre) sono stati diversi i messaggi arrivati via sms e email agli iscritti per invitarli a connettersi alla piattaforma SkyVote. “Sei favorevole all’elezione di Giuseppe Conte quale presidente dell’associazione Movimento 5 Stelle?”. Insomma, sei su dieci si sono presi la briga di autenticarsi nelle urne online per dire la propria. Ma tanto un quorum non era previsto e Conte avrebbe vinto lo stesso”.
Candidato unico, modalità di voto definita con una sorta di referendum. Sono passate ere geologiche dai principi dell’uno vale uno e perfino della democrazia diretta, senza filtri. Per non parlare dello streaming nel quale Roberta Lombardi duellava con un attonito Pierluigi Bersani. Certo è che del Movimento 5 Stelle della prima ora non è rimasto nulla. Neppure di quello della seconda ora. Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo mai avrebbero immaginato che un giorno alla guida ci sarebbe stato Giuseppe Conte, individuato da Luigi Di Maio come presidente del consiglio nel momento del Governo giallo-verde, insieme alla Lega di Matteo Salvini. Di Maio è andato via. Come Alessandro Di Battista. In tanti si sono letteralmente eclissati. Paola Taverna per esempio. Chiara Appendino ha recentemente sbattuto la porta. Virginia Raggi è defilata che più defilata non si può.
Alcuni però sono rimasti. Roberto Fico è il candidato alla presidenza della Campania. Ilaria Fontana, due volte parlamentare (è di Frosinone), è sempre alla destra di Giuseppe Conte in ogni intervento di quest’ultimo in Parlamento.
Letteralmente scomparsi dai radar politici due ex deputati pentastellati della provincia di Frosinone, Luca Frusone ed Enrica Segneri.
Il Movimento 5 Stelle ha ottenuto il 4,34% dei voti alle regionali in Toscana, il 5,08% nelle Marche, il 6,43% in Calabria, dove indicava il candidato alla presidenza, Pasquale Tridico.
Eppure, un retroscenista da Champion’s League come Alessandro De Angelis ha scritto sul quotidiano La Stampa: “Non è il caso di parlare di grandi disegni, però, a conti fatti, tutto racconta di un posizionamento e un gioco all’interno del centrosinistra, scelta irreversibile al di là delle parole, buone per marcare una alterità e, al tempo stesso, per ribadire un potere contrattuale. Non per mettere in discussione il percorso. È chiaro quello che ha in testa: di giocarsela, quando ci sarà da vedere chi sfiderà Giorgia Meloni puntando sulla carta dell’esperienza di chi quel mestiere lo ha fatto”. Si riferisce a Giuseppe Conte. “Guardate la postura degli ultimi tempi: la pochette è tornata perfettamente stirata, la voce ha abbassato i decibel, il “compromesso” – proprio così – praticato con abilità manovriera. A pensar male, ci si indovina: vuoi vedere che si è messo in testa di tornare lì dove fu sfrattato in un modo che, direbbe il sommo poeta, “ancor l’offende”?”.
Giuseppe Conte punta ad essere lui il candidato premier del centrosinistra. E se Roberto Fico dovesse diventare presidente della Campania avrà un’altra freccia al suo arco. Il punto vero, però, riguarda il Partito Democratico. Nicola Zingaretti è stato quello che più di tutti ha voluto, disegnato e difeso il Campo Largo. Risultato? Alle regionali del Lazio il Movimento è andato per conto proprio, con Donatella Bianchi candidata alla presidenza. Nei giorni scorsi i “riformisti” del Pd, guidati da Lorenzo Guerini, hanno fatto capire che la politica delle alleanze va rivista. Con riferimento anche e soprattutto ai Cinque Stelle. Ella Schlein si giocherà la leadership del partito su questo tema. Poco da fare. Ma rimane sospesa e senza risposta la domanda centrale: perché Giuseppe Conte dovrebbe essere lui il candidato alla presidenza del consiglio se il Pd ha il doppio dei voti?
 
				 
	 
	 
	 
	 
	 
	 
	 
	 
	 
	 
	 
	 
	 
	 
	 
	 
	