Lo sport entra in costituzione ma non lo si può nominare. Con il primo voto già favorevole da parte del Senato, la riforma costituzionale che intende introdurre nella Carta il diritto a fare sport è passata al vaglio della Camera e a breve il testo potrebbe essere licenziato favorevolmente per chiudere il primo ciclo di lettura da parte dei due rami del Parlamento italiano.
Però la parola “sport” – utilizzata cento volte di più dagli italiani rispetto a ‘Draghi’ o ‘Governo’ – è bandita dalla Costituzione: trattandosi di un termine straniero (deriva dall’inglese che a sua volta lo ha anticamente importato dal francese) rischia di inquinare la Costituzione più bella del mondo, come dice taluno.
Così, in sede di redazione del testo che promuove lo sport a rango di diritto inalienabile dei cittadini del Belpaese, si è deciso di utilizzare un’altra locuzione: “attività sportiva” piuttosto che “sport”: “perché quest’ultimo – si legge nella relazione della Commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama -, pur essendo un termine ormai entrato nella lingua italiana, è pur sempre una parola straniera, e quindi non è stato ritenuto opportuno inserirlo”.
Il diritto allo sport, dunque, come quello alla salute e all’istruzione. Si tratta di aggiungere poche righe all’articolo 33 della Costituzione, che già si occupa di insegnamento e scuole, con un nuovo comma. Ventuno parole che recitano: “La Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme”.
E, come insegna la stessa Costituzione, per Repubblica si intende, oltre allo Stato, i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni, con le relative competenze e funzioni in materia. Quindi tutte le articolazioni repubblicane sono chiamate a dare dignità e sostegno all’attività sportiva.
Lo sport (o la pratica sportiva che dir si voglia), insomma, come diritto fondamentale dei cittadini, al pari della salute, di cui si occupa non a caso l’articolo che precede, il numero 32, e l’istruzione di cui tratta, non a caso, l’articolo che segue, il numero 34.
Il testo passato al Senato è il frutto della sintesi di sei differenti (ma convergenti) disegni di legge costituzionale presentati a Palazzo Madama da diversi gruppi parlamentari.
L’intento, dichiarato al Senato dove – come detto – il testo è stato già approvato in prima lettura con voto pressoché unanime, è quello introdurre anche in Italia una disposizione presente da tempo nelle Carte costituzionali di diversi Stati dell’Unione europea oltre che nello stesso Trattato sul funzionamento dell’Ue.
Tra le finalità della riforma: voler riconoscere l’innegabile valore che l’attività sportiva ha in sé; un valore declinato in tre direzioni: educativo, per la crescita e la formazione della persona; sociale, lo sport, infatti, rappresenta spesso un antidoto al degrado e all’esclusione ed è alla base di innumerevoli realtà del terzo settore e, in generale, è un potente fattore di aggregazione a tutti i livelli, anche dell’intera comunità nazionale; infine, il valore per la salute come promozione del benessere psicofisico, per indicare un’accezione positiva del concetto di salute, non solo come assenza di patologie ma come miglioramento della condizione fisica e mentale dell’individuo.
Evviva lo sport, dunque: formativo, aggregativo e salutare. Ma non lo si può citare in Costituzione.