Quando l’Italia nel 1935 invase l’Etiopia, la Società delle Nazioni ritenne opportuno punirci imponendoci le giuste o famigerate (dipende dai gusti) sanzioni economiche.
All’assedio societario, come lo definì il Duce, l’Italia rispose con la cosiddetta autarchia, ovverosia il ricorso all’arte di arrangiarsi pur di non darla vinta ai sanzionatori. Il Belpaese cominciò così a produrre da sé quel ch’era vietato importare. Si sostituì il tè con il carcadè, il carbone con la lignite, la lana con il lanital. Si raccolsero gli stracci, la carta, le pentole di rame, si sostituì il cuoio con impasti vari, si estrasse il cotone con le fibre di ginestra, si mobilitarono le sezioni del Dopolavoro per “dare il massimo impulso alla coniglicoltura”. Le donne calzarono scarpe con suole di sughero, gli uomini di gomma. Nelle pentole entrarono più castagne che carne e la cicoria fu promossa a caffè.
La storia si ripete. La Russia per esempio, in risposta alla decisione di YouTube di bloccare i canali associati ai media finanziati dallo Stato, ha creato un succedaneo che si chiama RuTube. Che evoca un poco quei marchi che, affidandosi alle assonanze fonetiche, cercano di lucrare sul buon nome dei brand più famosi e venduti. Che so, Adidos in luogo di Adidas; Anmani che somiglia ad Armani; Ball Star che fa il verso alla All Star e via così.
“In questo tempo di frenata le sanzioni possono anche diventare tempo di accelerazione – scrive La Gazzetta Russa -. D’ora in avanti RuTube sarà sfruttato sempre di più. Molti utenti nuovi sono arrivati all’improvviso sulla piattaforma e quasi tuti i canali televisivi hanno trasferito su di esso la maggior parte degli archivi”
Facile immaginare che nella piattaforma digitale autarchica cara allo Zar del Cremlino non finisca alcunché di occidentale. Forse qualche video di Toto Cutugno e dei Ricchi e Poveri, popstar bollite in patria ma oggetto di vera e propria idolatria laggiù nella steppa. Un po’ poco per sperare in una distensione tra ovest e orso russo.