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Usura, 146mila imprese a rischio. Nel Lazio in sofferenza l’11% delle aziende

Cesidio Vano
Accesso al credito sempre più difficile, Roma e Frosinone le province più in difficoltà.
Luglio 26, 2022
Banca D'Italia

Sono 12.118 (pari all’8,3%) le aziende della provincia di Roma affidatarie di prestiti bancari che risultano in sofferenza nel pagamento delle rate; sono 1.451 (1,05) quelle in sofferenza della provincia di Frosinone; 1.319 (0,9%) quelle di Latina; 914 (0,6%) quelle di Viterbo e 304 (0,2%) quelle di Rieti. In tutto nel Lazio le aziende in sofferenza bancaria sono 16.106 pari all11% del totale di aziende presenti e la nostra regione è la seconda in Italia, dopo la Lombardia, per numero di imprese in difficoltà con le Banche.

I dati sono quelli al 31 marzo scorso e sono stati forniti dall’associazione di categoria delle piccole e medie imprese Cgia che lanciato l’allarme in campo nazionale evidenziando come siano “146 mila le imprese italiane che sono concretamente a rischio usura. Attività che attualmente danno lavoro a circa 500 mila addetti. Si tratta prevalentemente di imprese artigiane, esercenti/attività commerciali o piccoli imprenditori che sono “scivolati” nell’area dell’insolvenza e, conseguentemente, sono stati segnalati dagli intermediari finanziari alla Centrale dei Rischi della Banca d’Italia. Di fatto, questa “schedatura” preclude a queste attività di accedere a un nuovo prestito”.

L’ufficio studi Cgia, nel diffondere il report, ha sottolineato come per gli imprenditori coinvolti sia la “morte civile”. “Per i destinatari di questa misura (la segnalazione) è come se fossero stati condannati alla “morte civile”; un istituto giuridico diffuso in Europa fino al XIX secolo che al condannato comportava la perdita di tutti i diritti civili e il conseguente allontanamento dalla società. Ricordiamo, infatti, che chi è schedato presso la Centrale dei Rischi difficilmente può beneficiare di alcun aiuto economico dal sistema bancario, rischiando, molto più degli altri, di chiudere o, peggio ancora, di scivolare tra le braccia degli usurai”.

Per evitare che questa criticità si diffonda, la Cgia continua a chiedere con forza il potenziamento delle risorse a disposizione del “Fondo di prevenzione dell’usura”, strumento, quest’ultimo, in grado di costituire l’unico valido aiuto a chi si trova in questa situazione di vulnerabilità.

“E’ bene ricordare che gli imprenditori che “finiscono” in questa black list della Banca d’Italia non sempre lo devono a una cattiva gestione finanziaria della propria azienda – precisa lo studio -. Nella maggioranza dei casi, infatti, questa situazione si verifica a seguito dell’impossibilità da parte di molti piccoli imprenditori di riscuotere i pagamenti dei committenti o per essere “caduti” in un fallimento che ha coinvolto proprio questi ultimi. E’ comunque doveroso segnalare che nell’ultimo anno il numero complessivo delle attività segnalate alla Centrale dei Rischi è sceso di oltre 30 mila unità. Questo lo si deve, in particolar modo, all’attività di “prevenzione” innescata dalle significative misure pubbliche di garanzia e dalla moratoria dei debiti per le Pmi introdotte in Italia dal 2020 per contrastare la crisi pandemica che ha aumentato notevolmente lo stock complessivo dei prestiti erogati alle attività produttive. Queste iniziative sono state più volte prorogate. Da ultimo, fino al prossimo 31 dicembre, data oltre la quale, il differimento potrebbe terminare definitivamente”.

Nel sud Italia il rischio usura riguarda un’impresa su 3 è al Sud. Le situazioni più critiche sono a Roma, Milano, Napoli e Torino. A livello provinciale il numero più elevato di imprese segnalate come insolventi si concentra nelle grandi aree metropolitane. Al 31 marzo scorso, Roma era al primo posto con 12.118 aziende: subito dopo scorgiamo Milano con 8.179, Napoli con 7.199, Torino con 5.320, Firenze con 3.252 e Salerno con 2.987.

“Se analizziamo i dati per ripartizione territoriale ci accorgiamo che l’area più a “rischio” è il Sud: qui si contano 50.751 aziende in sofferenza (pari al 34,8 per cento del totale), seguono il Centro con 36.026 imprese (24,7 per cento del totale), il Nordovest con 35.457 (24,3 per cento del totale) e infine il Nordest con 23.798 (16,3 per cento del totale)” dicono da Cgia.

Le denunce di usura tornano ad aumentare, sebbene con le sole denunce effettuate all’Autorità giudiziaria non sia possibile dimensionare con precisione il fenomeno dell’usura, dopo la forte contrazione registrata tra il 2017 e il 2018, successivamente le stesse sono tornate a crescere. Ancorché il numero assoluto sia molto inferiore alle punte registrate nella prima parte del decennio scorso, secondo il Ministero dell’Interno nel 2020 (ultimo anno in cui i dati sono a oggi disponibili), le denunce, a causa della crisi economica causata dal Covid, sono salite a 241 (+26,1 per cento rispetto al 2019). Va altresì segnalato che nel 2020 tra tutti i reati contro il patrimonio, le denunce per usura e le truffe, in particolar modo quelle informatiche, sono state le uniche a registrare una variazione positiva”.

A chiudere il quadro, l’esaurimento della crescita di prestiti alle piccole imprese. La Banca d’Italia, infatti, dopo la forte espansione verificatasi nel 2020 (+7,4 per cento), segnala che lo scorso anno la crescita dei prestiti totali erogati dalle banche e dalle società finanziarie alle imprese ha subito una decisa frenata (+1,7 per cento) che è proseguita anche a marzo di quest’anno (+1,4 per cento rispetto stesso mese del 2021). Questa decelerazione è ascrivibile al fatto che la domanda ha subito una forte contrazione; infatti, dopo il forte aumento verificatosi nel 2020, grazie alle misure anticrisi messe in campo dall’allora Governo Conte, successivamente la richiesta di credito da parte degli imprenditori è scemata. Va altresì segnalato che, a marzo 2022 su marzo 2021, la variazione degli impieghi erogati alle aziende con meno di 20 addetti è stata negativa (-0,4 per cento).

“I ricercatori di via Nazionale sostengono che questo risultato sia riconducibile alla “minore propensione delle banche a finanziare società più opache e relativamente più vulnerabili”. Indirettamente – concludono da Cgia -, ci confermano quello che temevamo; le difficoltà economiche emerse in questi ultimi sei mesi stanno colpendo i più piccoli e per le banche è meglio non rischiare nell’aiutare chi si trova in difficoltà. Una strategia che rischia di “spingere” involontariamente molti imprenditori verso le organizzazioni malavitose che, soprattutto nei momenti difficili, hanno invece la necessità di reinvestire i denari provenienti da attività criminali nell’economia lecita”.

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