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I russi si prendono la centrale nucleare di Zaporizhzhia. Altre nubi per le nostre bollette

Alberto Fraja
Si tratta dell’impianto per la produzione di energia atomica più grande d’Europa, quinta al mondo. Secondo Kiev, non ci sono fughe radioattive
Marzo 5, 2022
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La centrale nucleare di Zaporizhzhia

Cessate il fuoco un corno. Sparacchiando come un disgraziato Putin, la notte scorsa, s’è preso pure la centrale nucleare nell’oblast di Zaporizhzhia. Si tratta dell’impianto per la produzione di energia atomica più grande d’Europa, quinta al mondo. Secondo Kiev, non ci sono fughe radioattive. Anche l’Aiea rassicura sulla sicurezza dell’impianto. Ma non è questo il punto. Il guaio è che “Vlad the Mad” continua ad allungare gli artigli sulle fonti energetiche cui il nostro Paese dipende tanto quanto un lattante dalla tetta di mammà.

Un po’, anzi parecchio, ce la siamo cercata. Alle elementari la maestra ci ha insegnato che l’Italia è un paese manifatturiero. Ciò vuol dire che non disponendo di risorse naturali se non in quantità risibili, per la realizzazione e distribuzione del prodotto finito siamo costretti ad approvvigionarci di gas, petrolio, carbone e quant’altro andandolo a pietire (e strapagare) a chi ne dispone a fottere.

Si dà tuttavia il caso che, per evitare di sottostare alle ubbìe dei fornitori, qualche persona molto intelligente, tanti anni fa, rabbia avuto la brillante idea (senza ironia) di sfruttare l’energia da nucleare. Avevamo cominciato anche noi a farlo. Poi vennero i verdi e ciao core. E’ una storia che parte dal 1987 quando gli italiani attraverso il referendum bocciarono allegramente il fissile. Erano gli anni in cui Chicco Testa, allora parlamentare comunista, fondava Legambiente col presupposto di dire no all’atomo. Salvo ricredersi quando diventerà presidente dell’Enel.

E pensare che l’Italia ha avuto un passato intimamente legato al nucleare, grazie a grandi competenze in materia (ricordiamoci di illustri scienziati come Enrico Fermi). Generammo elettricità da centrali nucleari tra il 1963 e il 1990. Il primo impianto fu quello di Latina, avviato nel ’63, il più potente d’Europa per l’epoca. Seguirono gli impianti di Sessa Aurunca e Trino nei due anni seguenti e quello di Caorso del 1977. Tra gli anni ’60 e ’70 il nucleare italiano conobbe il periodo di massimo sviluppo: nel 1966 l’Italia era il terzo paese occidentale per potenza nucleare installata.

Poi venne il disastro di Chernobyl, ce la facemmo sotto e abbandonammo le centrali al loro destino (il cosiddetto decommissioning, vale a dire la complicatissima, costosissima e delicatissima procedura di smantellamento di un impianto nucleare, di decontaminazione delle strutture e di demolizione delle stesse). Nel frattempo l’Europa, con oltre 100 reattori, continuava a produrre quasi un terzo di energia elettrica da fonti nucleari senza farsi troppi scrupoli.

Onestà intellettuale impone di dire che, all’inizio del Duemila, Enel ha cominciato a reinvestire nel nucleare. E tuttavia c’è un piccolo particolare cui tener conto. Se anche cominciassimo a costruire domani anche un solo impianto (ci si concentra sui cosiddetti Small Modular Reactors, piccoli reattori da 100-300 MW) ci vorrebbero tra i dieci/quindici anni perché esso cominci a funzionare. Campa cavallo. A questo punto, considerato che Putin con le nostre fiammelle continua a fare il bello ma soprattutto il cattivo tempo, a milioni di famiglie italiane per risparmiare sulle bollette non resta che sperare nel riscaldamento globale. Altro che green deal.

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